Nato a Bolzano nel 1895 e morto a Innsbruck nel
1944 dopo aver percorso le tappe di una vita d’uomo e d’artista tormentate da
una profonda inquietudine, il pittore Louis Christian Hess appartiene di diritto
a quell’area culturale tedesca che siamo soliti collocare, grosso modo, tra il
temperamento passionale di Ernst Ludwig Kirchner e il senso dell’umano – con
l’espressione di bisogno e di abbandono e tuttavia con la forza e la silenziosa
dignità dell’immutabile – che appartenne alla realtà di un Max Beckmann, ovvero
a quella schiera di artisti che, anche in Germania, tra le due guerre
assimilarono con l’arte moderna europea da Cezanne a Picasso, da Klee a
Kandinsky, la consapevolezza che far arte significava creare e trovare, nelle
accidentalità vitali, la verità.
Christian Hess non resse in Germania, alla
intemperie mentale e morale della malattia nazista per cui emigrò in Italia
soffermandosi in Sicilia ove si era trasferita la sorella. Qui prese atto,
marginalmente, delle concomitanze culturali declinate dal Novecento italiano e,
di più, di quel filo segreto che lega il sentimento delle “cose” umanamente
intense del nostro meridione con la reattività vibrante del colore.
Nei suoi quadri il realismo terribilmente aspro
e veritiero assorbito dai maestri della“Neue Sachlickeit”, accolse il dolore e
la povertà dignitosa e pittoresca della fantasia e della condizione popolare del
nostro sud e lo fece con molta partecipazione. Tuttavia al di là della semplice
e grande capacità pittorica, nella pittura di Hess – che è pittura colta, legata
ai molti fili della rivoluzione artistica europea – leggiamo l’uomo e il suo
esistere, nel calore di un dialogo la cui espressività è piena, assunta (secondo
la scuola degli Schlemmer, dei Jawlensky, degli Hofer) moralmente e a simbolo di
una confidenza umana che, per nulla e a fronte di nulla, doveva andare perduta.
La mostra retrospettiva di Christian Hess –
ricca di troppi umori per esaurirne il commento in una cartella di recensione –
è stata ordinata dalla “Carmagnola” per iniziativa del Goethe Institut di
Genova.
Germano Beringheli
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