"Nel
discorso più legato alla Sicilia e al suo
folklore, un motivo assai accarezzato e
riproposto da Christian Hess in numerosi
disegni, di insieme e di particolari è
"L'Indovino", olio del 1933. In questo
quadro fondamentale si assiste ad una specie
di inventario dei motivi siciliani che però
si armonizzano in una scena-composizione; e
non perdendo per questo la loro vitalità
quasi simbolica, nulla concedono ad una
descrizione di comodo: il pimo piano del
carretto siciliano con i suoi colori
arancio, blu e rosso, il cesto delle
melanzane bianche sormontato dalla testa del
pescatore con la corta pipa di gesso, su cui
svetta il personaggio della fantasia
popolare, il portatore di illusorio futuro,
con la coppola contadina, la tromba e la
gabbietta su cui prillano le bandierine, non
esclusa quella italiana, non a caso, e per
pura incidenza formale, già... repubblicana.
E quale attonita curiosità, quale rispetto
della gente per quel messaggero della
fortuna!".
Marcello Venturoli così legge e interpreta
questo quadro nel saggio di presentazione
del catalogo-monografico pubblicato in
occasione della grande mostra retrospettiva
dell'artista tedesco, tenuta a Palermo dal
26 novembre al 10 dicembre 1974, nella sala
mostre dell'Assessorato regionale Turismo.
Le pitture di Hess sono piene di
testimonianza e vivono tali esperienze,
estetiche, di costume, di viaggi, di climi,
di caratteri, che quasi obbligano il critico
a ritrivarne la preistoria, a spiegarsi come
e perchè l'artista abbia dipinto, e a
guardare nello specchio della sua vita. E a
mano a mano che vicino alle opere si
collocano momenti diversi della sua
esistenza, la personalità del pittore viene
fuori a "tutto tondo", nella sua umanità e
intelligenza, nel suo indomito spirito di
galantuomo demovratico, di viaggiatore, di
fuggiasco, di innamorato, do amico
dell'Italia e della Sicilia.
Quarantanove anni in tutto la vita di
Christian Hess, tra due guerre, periodo così
drammatico e sconvolgente per la storia non
soltanto dell'artista, ma dell'umanità, che
quasi non vi fu momento di vera pace e di
libertà. La vita e l'arte di Hess furono una
continua e coraggiosa sfida della sua
umanità contro due guerre e due dittature.
Nato a Bolzano nel 1895, il suo destino di
artista era già segnato prima di tutto nella
sua mano artigiana: incisioni in legno,
linoleum, zinco, arte vetraria, ceramica,
affresco furono i suoi primi cimenti,
confortati fin da allora da una cultura
umanistica, da un amore per l'immagine,
felice e perentoria.
La prima guerra mondiale lo trova quasi
giovinetto nei reparti del Genio con elmo e
chiodo sul fronte belga. La Somme, Verdun
non furono per lui titoli di giornale, ma
lacrime e sangue. Viaggiatore in arte
attraverso le chiese abbandonate,
disegnatore di naja e di cartoline per la
pace nel 1917, finalmente reso libero dalla
sconfitta, cominciò il suo primo dopoguerra
di speranza nel 1919 a Monaco di baviera,
centro culturale per le arti quasi come
Parigi. Dopo aver frequentato l'"Akademie
der Bildenden Künste", Hess ebbe modo di
affinare la sua sensibilità osservando e
vivendo le stimolanti esperienze dei
movimenti di avanguardia.
Il critico tedesco Hans Eckstein che conobbe
personalmente il pittore e che sta
conducendo in Germania uno studio parallelo
sulla sua riscoperta, ricorda che attorno al
1930 chi voleva conoscere i giovani artisti
di Monaco e le loro opere, doveva andare nel
locale di esposizione di Prinzregentstrasse
del Gruppo "Juryfrei" - cui aveva aderito
Christian Hess - e dove si esponevano non
solo i lavori dei "fuori giuria", ma tutto
ciò che allora gallerie private e statali
non avevano mai esposto: astratti e
surealisti tra cui Albers, Arp, Baumeister,
Brancousi, Max Ernst, Mondrian, Picasso,
Schwitters.
Ma tutto ciò ebbe fine quando Hitler,
decidendo ciò che fosse arte e ciò che non
lo fosse, mise al bando il Gruppo "Juryfrei".
"Tra
gli innumerevoli quadri visti in quel
periodo nelle esposi-zioni di Monaco, quelli
di Hess - ricorda Eckstein - rientrano senza
dubbio tra quei pochi di cui la mia mente ha
potuto custodire la nitida immagine. Così,
quando poco tempo fa, ho visto a Messina
l'accurata raccolta di questo pittore, di
fronte a molti quadri è stato per me come un
reincontro. E non c'è stata la disillusione
che spesso si ha quando, dopo decenni, si
rive-dono amici e quadri. Ho rivisto anche
quella grandiosa compo-sizione del "Nettuno
a Messina" in cui il reale appare quasi
potenziato fino al mitico-allegorico, e che
presenta qualcosa di un magico romanticismo
che all'osservatore potrebbe ricordare De
Chirico".
Hess però sempre dinanzi alle sue tele come
un consumato professionista, sapendo ad ogni
tappa che cosa volesse e in quali limiti di
tradizione o di avanguardia dovesse
contenersi. E tutta l'arte di hess può
definirsi in una marcia di trasferimento, da
una figurazione post-impressionista ed
espressionista, ad un gusto d'avanguardia
temperato, con qualche punta di astrattismo
più programmatico.
Se in tempo di guerra aveva peregrinato in
diversi fronti, in tempo di pace cominciò
altri viaggi in Svezia, in Danimarca, in
Austria, in Italia - naturalmente a Firenze
- e poi al Sud, con la Sicilia regina della
natura, mecca della luce, genesi quasi
biblica del colore che rimarrà una costante
dell'artista e quasi una meta.
Nell'isola lavorò fervidamente e scoperse
quella dimensione mediterranea che forse per
altri stranieri sarebbe stata una occasione
di pittorico turismo, ma che per Hess fu una
straordinaria palestra di umanità, gloria e
miseria, amore per le classi diseredate,
rispetto della vita. Immedesimazione nel
popolo siciliano, quella di Hess, per dare
la necessaria compagnia alla sua solitudine
di viaggiatore della pace. E ci si mise
anche lui a vogare, in barca, e dentro il
quadro (Autoritratto, 1933) con il baschetto
rosso, la grinta che par sorridere,
l'impugnatura ciclopica del remo per fare la
storia di Scilla e cariddi, lui del Nord,
come a dire che non c'è altra patria che
quella del sole, che il lavoro e la fiducia
nella vita non hanno confini.
Anche l'olio "Ladro e carabiniere" (1933) è
quadro tipico dell'Hess italiano che ha
colto in una chiave tutta insulare - che
però non gli fu mai estranea, anzi, in altre
drammatiche circostanze nel suo paese -
l'antica protesta del diseredato contro "la
legge", ed ha atteggiato i due a una recita
che si ripete ormai da secoli, la miseria
che si fa colpa e perciò diventa castigo,
anche da parte della legge. E quali
smaglianti colori, a dire questa parabola,
quale naturalezza di scena, vista e presa,
dopo tanti disegni e acquerelli
fortunatamente conservati.
Dal 1931 al 1934 i "modi" realistici e
quelli astratti si alternano nella pittura
di Hess con tale tensione da costituire
quasi due anime in una, due momenti che si
caricano a vicenda. della oscillazione
astratta si veda "I piccioni", deliziosa
fiaba tra balaustre di marmo, cupole e nubi,
queste ultime ritagliate nello spazio come
fossero decorative, eppure così viventi nel
cielo tra ardesia e azzurro, con quelle tre
soavi colombe fatte di luce, composizione
perfettamente scandita e di preciso valore
poetico.
Lo schema astratto prevale anche in un'opera
antecedente "Balcone in Sicilia" del
1928,con una natura morta in primo piano,
sintesi di una realtà sensibile e di un
equilibrio fra schema mentale e natura.
Una storia, quella umana di Hess - osserva
ancora Venturoli - che potrebbe interessare
anche un narratore, un regista. Lo vediamo a
Wismar, tra le bottiglie di vino del Reno,
non meno generoso del Corvo e del Marsala,
ad affrescare la grande cantina di una villa
con i ricordi dell'isola. Lo vediamo
ritornare con animo archeologico in Sicilia,
a Selinunte, a Palermo ed Agrigento; tedesco
democratico a Berlino sotto i primi furori
incredibili dell'hitlerismo; pacifista a
Lucerna a perpetuare la tradizione
dell'esule.
A Monaco nel 1931 all'apoteosi delle
"camicie brune" egli risponde col massimo
della sua sperimentazione astratta, forse
l'unica proposta di libertà che poteva
concedersi un artista in quella tragedia.
E' di quell'anno l'astrattissimo "Giocatore
di scacchi" col braccio appoggiato alla
scacchiera come su una mensola della
foto-ricordo, gli occhi di carbone, il
chiaroscuro della faccia così metallico da
creargli una sorta di pelugine, una muffa
d'ombra, il magnifico riquadro del biliardo,
l'ambientazione quasi funeraria del fondo
sul rosso baldacchino, una delle massime
punte di liberazione e di invenzione del
Maestro.
Poi la fuga in Sicilia, in una situazione
economica e psicologica di gravissima crisi
che lo condusse per due volte al tentativo
di tolgiersi la vita.
Fino a che l'artista veniva liberamente in
Italia dalla piattaforma europea, l'Italia
gli appariva come una inesauribile miniera
di tesori d'arte, di suggestioni della
natura; ma ora, tagliato fuori dal suo paese
egli soffriva tutta la solitudine di un vero
abbandono, nè la difficoltà della lingua
poteva facilitare l'incontro con quei
"solitari siciliani" che non potè peraltro
conoscere perchè erano emigrati al Nord: da
Guttuso a consagra, da Mazzullo a Migneco, a
Franchina, a tanti altri.
La Germania lo calamitava sempre, la
nostalgia della sua gente era per lui
fortissima e nei buoni ed onesti - come fu
lui - era anche una specie di speranza
impossibile di riuscire a vivere anche in
mezzo ai nazisti salvando la libertà: "I
miei amici mi scrivono cose mostruose.
Voglio andarli a trovare per convincermi se
vi potrà essere ancora libertà per il nostro
lavoro e se tutto è ormai perduto. In questo
caso sarà indifferente dove mi metteranno in
carcere...".
Nel novembre del 1944, mentre ancora
inseguiva la sua introvabile pace, òa guerra
lo raggiunse a Innsbruck. E lo stroncò.
"Che nessuno si fidi di darmi in mano un
fucile, tranne che contro Hitler - aveva
scritto alla sorella -. certamente lui sarà
ucciso prima che noi si debba imbracciare le
armi...".
E se gli eventi non furono questi, gli
riuscì almeno di marciare fino in fondo
verso la morte, come un soldato della pace. |