Critica

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Christian Hess e la Sicilia

Domenico Maria Ardizzone
Rivista "Sicilia" n. 75 - Dicembre 1974 - Flaccovio Editore - Palermo
 

"Nel discorso più legato alla Sicilia e al suo folklore, un motivo assai accarezzato e riproposto da Christian Hess in numerosi disegni, di insieme e di particolari è "L'Indovino", olio del 1933. In questo quadro fondamentale si assiste ad una specie di inventario dei motivi siciliani che però si armonizzano in una scena-composizione; e non perdendo per questo la loro vitalità quasi simbolica, nulla concedono ad una descrizione di comodo: il pimo piano del carretto siciliano con i suoi colori arancio, blu e rosso, il cesto delle melanzane bianche sormontato dalla testa del pescatore con la corta pipa di gesso, su cui svetta il personaggio della fantasia popolare, il portatore di illusorio futuro, con la coppola contadina, la tromba e la gabbietta su cui prillano le bandierine, non esclusa quella italiana, non a caso, e per pura incidenza formale, già... repubblicana. E quale attonita curiosità, quale rispetto della gente per quel messaggero della fortuna!".
Marcello Venturoli così legge e interpreta questo quadro nel saggio di presentazione del catalogo-monografico pubblicato in occasione della grande mostra retrospettiva dell'artista tedesco, tenuta a Palermo dal 26 novembre al 10 dicembre 1974, nella sala mostre dell'Assessorato regionale Turismo.
Le pitture di Hess sono piene di testimonianza e vivono tali esperienze, estetiche, di costume, di viaggi, di climi, di caratteri, che quasi obbligano il critico a ritrivarne la preistoria, a spiegarsi come e perchè l'artista abbia dipinto, e a guardare nello specchio della sua vita. E a mano a mano che vicino alle opere si collocano momenti diversi della sua esistenza, la personalità del pittore viene fuori a "tutto tondo", nella sua umanità e intelligenza, nel suo indomito spirito di galantuomo demovratico, di viaggiatore, di fuggiasco, di innamorato, do amico dell'Italia e della Sicilia.
Quarantanove anni in tutto la vita di Christian Hess, tra due guerre, periodo così drammatico e sconvolgente per la storia non soltanto dell'artista, ma dell'umanità, che quasi non vi fu momento di vera pace e di libertà. La vita e l'arte di Hess furono una continua e coraggiosa sfida della sua umanità contro due guerre e due dittature.
Nato a Bolzano nel 1895, il suo destino di artista era già segnato prima di tutto nella sua mano artigiana: incisioni in legno, linoleum, zinco, arte vetraria, ceramica, affresco furono i suoi primi cimenti, confortati fin da allora da una cultura umanistica, da un amore per l'immagine, felice e perentoria.
La prima guerra mondiale lo trova quasi giovinetto nei reparti del Genio con elmo e chiodo sul fronte belga. La Somme, Verdun non furono per lui titoli di giornale, ma lacrime e sangue. Viaggiatore in arte attraverso le chiese abbandonate, disegnatore di naja e di cartoline per la pace nel 1917, finalmente reso libero dalla sconfitta, cominciò il suo primo dopoguerra di speranza nel 1919 a Monaco di baviera, centro culturale per le arti quasi come Parigi. Dopo aver frequentato l'"Akademie der Bildenden Künste", Hess ebbe modo di affinare la sua sensibilità osservando e vivendo le stimolanti esperienze dei movimenti di avanguardia.
Il critico tedesco Hans Eckstein che conobbe personalmente il pittore e che sta conducendo in Germania uno studio parallelo sulla sua riscoperta, ricorda che attorno al 1930 chi voleva conoscere i giovani artisti di Monaco e le loro opere, doveva andare nel locale di esposizione di Prinzregentstrasse del Gruppo "Juryfrei" - cui aveva aderito Christian Hess - e dove si esponevano non solo i lavori dei "fuori giuria", ma tutto ciò che allora gallerie private e statali non avevano mai esposto: astratti e surealisti tra cui Albers, Arp, Baumeister, Brancousi, Max Ernst, Mondrian, Picasso, Schwitters.
Ma tutto ciò ebbe fine quando Hitler, decidendo ciò che fosse arte e ciò che non lo fosse, mise al bando il Gruppo "Juryfrei".
"Tra gli innumerevoli quadri visti in quel periodo nelle esposi-zioni di Monaco, quelli di Hess - ricorda Eckstein - rientrano senza dubbio tra quei pochi di cui la mia mente ha potuto custodire la nitida immagine. Così, quando poco tempo fa, ho visto a Messina l'accurata raccolta di questo pittore, di fronte a molti quadri è stato per me come un reincontro. E non c'è stata la disillusione che spesso si ha quando, dopo decenni, si rive-dono amici e quadri. Ho rivisto anche quella grandiosa compo-sizione del "Nettuno a Messina" in cui il reale appare quasi potenziato fino al mitico-allegorico, e che presenta qualcosa di un magico romanticismo che all'osservatore potrebbe ricordare De Chirico".
Hess però sempre dinanzi alle sue tele come un consumato professionista, sapendo ad ogni tappa che cosa volesse e in quali limiti di tradizione o di avanguardia dovesse contenersi. E tutta l'arte di hess può definirsi in una marcia di trasferimento, da una figurazione post-impressionista ed espressionista, ad un gusto d'avanguardia temperato, con qualche punta di astrattismo più programmatico.
Se in tempo di guerra aveva peregrinato in diversi fronti, in tempo di pace cominciò altri viaggi in Svezia, in Danimarca, in Austria, in Italia - naturalmente a Firenze - e poi al Sud, con la Sicilia regina della natura, mecca della luce, genesi quasi biblica del colore che rimarrà una costante dell'artista e quasi una meta.
Nell'isola lavorò fervidamente e scoperse quella dimensione mediterranea che forse per altri stranieri sarebbe stata una occasione di pittorico turismo, ma che per Hess fu una straordinaria palestra di umanità, gloria e miseria, amore per le classi diseredate, rispetto della vita. Immedesimazione nel popolo siciliano, quella di Hess, per dare la necessaria compagnia alla sua solitudine di viaggiatore della pace. E ci si mise anche lui a vogare, in barca, e dentro il quadro (Autoritratto, 1933) con il baschetto rosso, la grinta che par sorridere, l'impugnatura ciclopica del remo per fare la storia di Scilla e cariddi, lui del Nord, come a dire che non c'è altra patria che quella del sole, che il lavoro e la fiducia nella vita non hanno confini.
Anche l'olio "Ladro e carabiniere" (1933) è quadro tipico dell'Hess italiano che ha colto in una chiave tutta insulare - che però non gli fu mai estranea, anzi, in altre drammatiche circostanze nel suo paese - l'antica protesta del diseredato contro "la legge", ed ha atteggiato i due a una recita che si ripete ormai da secoli, la miseria che si fa colpa e perciò diventa castigo, anche da parte della legge. E quali smaglianti colori, a dire questa parabola, quale naturalezza di scena, vista e presa, dopo tanti disegni e acquerelli fortunatamente conservati.
Dal 1931 al 1934 i "modi" realistici e quelli astratti si alternano nella pittura di Hess con tale tensione da costituire quasi due anime in una, due momenti che si caricano a vicenda. della oscillazione astratta si veda "I piccioni", deliziosa fiaba tra balaustre di marmo, cupole e nubi, queste ultime ritagliate nello spazio come fossero decorative, eppure così viventi nel cielo tra ardesia e azzurro, con quelle tre soavi colombe fatte di luce, composizione perfettamente scandita e di preciso valore poetico.
Lo schema astratto prevale anche in un'opera antecedente "Balcone in Sicilia" del 1928,con una natura morta in primo piano, sintesi di una realtà sensibile e di un equilibrio fra schema mentale e natura.
Una storia, quella umana di Hess - osserva ancora Venturoli - che potrebbe interessare anche un narratore, un regista. Lo vediamo a Wismar, tra le bottiglie di vino del Reno, non meno generoso del Corvo e del Marsala, ad affrescare la grande cantina di una villa con i ricordi dell'isola. Lo vediamo ritornare con animo archeologico in Sicilia, a Selinunte, a Palermo ed Agrigento; tedesco democratico a Berlino sotto i primi furori incredibili dell'hitlerismo; pacifista a Lucerna a perpetuare la tradizione dell'esule.
A Monaco nel 1931 all'apoteosi delle "camicie brune" egli risponde col massimo della sua sperimentazione astratta, forse l'unica proposta di libertà che poteva concedersi un artista in quella tragedia.
E' di quell'anno l'astrattissimo "Giocatore di scacchi" col braccio appoggiato alla scacchiera come su una mensola della foto-ricordo, gli occhi di carbone, il chiaroscuro della faccia così metallico da creargli una sorta di pelugine, una muffa d'ombra, il magnifico riquadro del biliardo, l'ambientazione quasi funeraria del fondo sul rosso baldacchino, una delle massime punte di liberazione e di invenzione del Maestro.
Poi la fuga in Sicilia, in una situazione economica e psicologica di gravissima crisi che lo condusse per due volte al tentativo di tolgiersi la vita.
Fino a che l'artista veniva liberamente in Italia dalla piattaforma europea, l'Italia gli appariva come una inesauribile miniera di tesori d'arte, di suggestioni della natura; ma ora, tagliato fuori dal suo paese egli soffriva tutta la solitudine di un vero abbandono, nè la difficoltà della lingua poteva facilitare l'incontro con quei "solitari siciliani" che non potè peraltro conoscere perchè erano emigrati al Nord: da Guttuso a consagra, da Mazzullo a Migneco, a Franchina, a tanti altri.
La Germania lo calamitava sempre, la nostalgia della sua gente era per lui fortissima e nei buoni ed onesti - come fu lui - era anche una specie di speranza impossibile di riuscire a vivere anche in mezzo ai nazisti salvando la libertà: "I miei amici mi scrivono cose mostruose. Voglio andarli a trovare per convincermi se vi potrà essere ancora libertà per il nostro lavoro e se tutto è ormai perduto. In questo caso sarà indifferente dove mi metteranno in carcere...".
Nel novembre del 1944, mentre ancora inseguiva la sua introvabile pace, òa guerra lo raggiunse a Innsbruck. E lo stroncò.
"Che nessuno si fidi di darmi in mano un fucile, tranne che contro Hitler - aveva scritto alla sorella -. certamente lui sarà ucciso prima che noi si debba imbracciare le armi...".
E se gli eventi non furono questi, gli riuscì almeno di marciare fino in fondo verso la morte, come un soldato della pace.