Esposizioni 1974-1979

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CERIMONIA DI APERTURA - GENOVA 22 marzo 1975

 
 

Centro d’Arte Carmagnola
Sabato 22 marzo 1975 - ore 18

 

Saluto del Conte Egon Westerholt, direttore del Goethe Institut di Genova:

Per noi del Goethe Institut è oggi un dovere ricordare Christian Hess, un importante pittore tra le due guerre. Non è solo fra questi pittori un umanista, ma è anche lui stesso un legame tra la Germania e l’Italia, perché univa in sé le migliori tradizioni dei nostri paesi. Ringrazio di cuore Germano Beringheli e Gianfranco Bruno per aver accettato di illustrare l’opera di Christian Hess. Ringrazio Pierluigi De Lucchi per il suo aiuto, per aver messo a disposizione questa bella e qualificata Galleria. Un cordiale saluto  tutti i presenti e particolarmente a un ospite di Palermo, il giornalista Ardizzone della Rai, membro del Comitato organizzatore di questa mostra.
 

Germano Beringheli
critico d'arte:

 

Personalmente dovrei partire con una constatazione. Ci troviamo di fronte ad un pittore che ha riassunto, pressoché in tutta la sua opera, i caratteri specifici della pittura austriaca e tedesca, dal periodo della prima Secessione in poi. Si diceva poco fa: sì c’è Beckmann, è vero, ci sono altri pittori dentro; tuttavia mi pare che ci sia un’osservazione da fare. Questo pittore ha lavorato in Italia. Chi ha presentato la mostra ha pensato di trovare degli addentellati con gli artisti italiani. Probabilmente ci sono, anche. Credo, però, che gli artisti che di più hanno influenzato l’arte di Hess, siano soprattutto i francesi e, forse, qualche italiano.

Ci sono dei quadri che ci ricordano Severini e altri che ci ricordano un certo Casorati. Però, qui, andrebbe tutto ribaltato: cioè se in un certo momento non ci ricordano Casorati perché abbiamo visto Casorati? Perchè poi verifichiamo le date e ci accorgiamo che certe opere sono datate 1925, sono datate prima. Il caso tipico è quello di un quadro che non è qui e che è riprodotto in catalogo a pagina 37 (Bagnanti sul lago - olio su cartone) che stranamente ricorda un’opera notissima, l’“Apocalisse” di Scipione, ricorda alcune opere di Mafai, tutte datate dopo questa, che è datata 1924.  

Ora queste interferenze ci fanno pensare. Ci fanno pensare perché ci sono dei paesaggi: ce n’è uno, il paesaggio con “Asinello e fichidindia” che è già una soluzione alla Migneco, una soluzione alla Guttuso, pittori che in quegli anni erano veramente ragazzini e che noi sappiamo che non hanno veduto le opere di questo artista. Direi, appunto, se si può fare un discorso (e poi ne parleremo un po’ assieme) è quello di questo strano “pendolare” – se così possiamo chiamarlo – tra una cultura europea che riesce sempre e fermamente a conservare i caratteri della cultura tipica tedesca e in particolare della cultura di Monaco.



A questo punto c’è da dire che ci sono dei quadri di un certo periodo che sono opere veramente importanti; altri quadri che, forse, lo sono un po’ meno. Forse se vedessimo inquadrato Hess accanto ad altri pittori tedeschi del periodo coevo potremmo trarne dei suggerimenti maggiori. Indubbiamente è stato un grande interprete senza, ripeto, senza perdere assolutamente i caratteri nativi. Ed è stato anche un grande interprete, forse, del paesaggio italiano. Dico forse perché anche quando dipinge la Sicilia resta tedesco, concede poco, anzi, stranamente quando noi recuperiamo qui qualcosa di italiano, finiamo sempre col recuperare un qualcosa di italiano che è venuto in Italia o dalla cultura francese (abbiamo visto che c’è Picasso dentro, che c’è Braque, che c’è persino Dufy) oppure viene a quella cultura italiana del dopoguerra che si è alimentata all’espressionismo e all’immediato periodo prima della guerra, agli anni ’30 e ’35, che si è alimentato all’espressionismo tedesco, proprio come situazione di liberazione da tanto classicismo. Ecco, direi una secca che ha evitato - nonostante ci sia un quadro che ricorda un po’ De Chirico - così ha evitato veramente le secche di quella cultura autarchica che in Italia si è vissuta tra gli anni ’26 - ’27 sino praticamente al ’32 -’33, perché poi col ’37 e ’38 incominciano le situazioni anomale, le interferenze, le assunzioni di cultura più libera, aperta ad una situazione autarchica.

 

Gianfranco Bruno, Direttore Accademia Ligustica di Belle Arti:

 

Posso dire brevemente che significato può avere nella cultura genovese
la presenza di una mostra di un artista come Christian Hess. E poi, forse  -  dato che Beringheli ha già ampiamente analizzato quello che è il percorso di Hess e i suoi rapporti con la cultura coeva – che interesse può avere per un addetto ai lavori, questo artista. Per quanto riguarda la cultura ligure è importante che si veda a Genova un artista con una gamma di interessi così larga e che in un certo modo rimanda ad un momento importante della storia artistica europea, forse più sotteso, meno noto , ma molto attuale:il periodo del realismo rappresentato da una serie di artisti, da Max Beckmann a Karl Hofer nei quali alla violenza delle soluzioni formali di carattere espressionista, si accompagna una carica di contenuti veramente molto attuali per l’interesse che questi artisti dimostrano verso una situazione dell’uomo contemporaneo. Quindi in una città come la nostra dove la cultura artistica è passata molto di soppiatto – e non è stata approfondita neanche in quello che è il significato delle avanguardie storiche – penso che la mostra un suo senso, se ben letta, possa averlo. 

Per quanto riguarda l’interesse per un addetto ai lavori e di conseguenza per tutte le persone che si occupano di problemi d’arte direi che l’aspetto più interessante di questo artista - che è una felice scoperta in quanto sta accanto, con molta dignità, agli Hofer e ai Beckmann, sebbene non abbia la virulenza carica di questi artisti  – consiste proprio nel vedere come al fondo di queste soluzioni, anche quando esse siano diverse (cioè quando l’artista va da una impostazione di tipo realistico espressionista ad un’altra che assume i dettagli dell’analitica cubista) sotto stia una volontà di scoprire valori umani, cioè di parlare di situazioni reali di uomini, proprio in un tempo ed anche in una specifica situazione, quella del nostro meridione.

Ma una lettura siciliana di Hess mi pare un po’da disattendere. L’impostazione cromatica dei dipinti certo risente fortemente di un clima di una zona geografica in cui egli ha operato. Ma, come Beringheli ha già fatto notare, permane al fondo del suo linguaggio una carica deformante , una costante di violenza sulla figura umana che non si potrà disgiungere mai da quel realismo europeo di grossa portata che fa capo a Max Beckmann. E accanto proprio a questa parentela stretta di tipo formale con l’avanguardia, con la forza del realismo tedesco una altrettanto potente intenzionalità nel restituire la figura dell’uomo, non l’uomo siciliano, non l’uomo tedesco, ma l’uomo nei suoi valori fondamentali, letto con una capacità di sintesi della forma e con un approfondimento proprio di tematiche d’ordine psicologico e di valore che non possono essere certamente circoscritte ad una così circostanziata e precisa zona geografica.

Sorprende, poi, la qualità di questi dipinti, specialmente degli anni fino al ’35: vedere le opere di Hess, avere visto di recente, in mostre, opere di Beckmann, opere di Hofer e ritrovare immediatamente un clima, cioè stabilire una comunicazione con quello che è uno sforzo dell’artista europeo di dare una figura all’uomo, di dare un significato di tipo universale a questa ricerca di valore umano. Ecco mi pare che la mostra giunga molto opportuna, soprattutto in coincidenza con questo tipo di tematica, di recupero, proprio, di una contenutistica di valore umano.

 

Prof. Giovanni Persico, assessore Regione Liguria, docente universitario di Diritto:

 
Vorrei chiedere se si hanno notizie di contatti personali tra Christian Hess e artisti europei
 

Gianfranco Bruno:
Sì, sappiamo di un incontro molto importante con Beckmann. Però mi pare che l’incontro con Beckmann sia anteriore alla conoscenza diretta. Molto probabilmente, nel clima di formazione dell’artista e di conoscenza della pittura tedesca, la figura di Beckmann ha contato moltissimo, prima ancora che Hess lo conoscesse. Come del resto avviene sempre per gli artisti: la conoscenza è un dato che prescinde dall’incontro personale. Le opere di Beckmann circolavano prima dell’intervento dei nazisti dell’arte degenerata. Circolavano in Germania ed erano visibili. Questo è un dato.

 

Giovanni Persico:
Per quanto lei avrebbe escluso che Hess sia stato influenzato dalla sua permanenza in Sicilia, contemporaneamente è stato detto prima che in pittori successivi siciliani (Migneco, Guttuso, e altri) ci sono veramente dei temi che richiamano molto questa pittura. Ora voglio dire: questo non è un segno che quanto meno Hess ha saputo esprimere qualche cosa che era in questa stessa terra, per il fatto che pittori siciliani abbiano poi ripreso questi temi? Quindi a me pare che, forse, questa esclusione sia troppo rapida.

 

Gianfranco Bruno:
Indubbiamente ci sono degli elementi, proprio, di riferimento preciso ad un determinato paesaggio, ma direi che le analogie di cui parlava Beringheli sono analogie più che tematiche, di tipo di soluzione di linguaggio artistico.

 

Giovanni Persico:
Scusi se interrompo: certi visi, certe espressioni sono siciliani.

 

Germano Beringheli:
Sono siciliani… tradotti in tedesco…

 

Gianfranco Bruno:
Io direi che non si tratta neanche di analizzare il quadro da questo punto di vista, cioè se vi sia una tipologia fisica che corrisponda al carattere della persona siciliana  o tedesca. Evidentemente certi elementi derivano dall’avere usato come modelli delle persone del posto, chiaramente. Ma la risoluzione formale, anche nel grande quadro che è stato riprodotto sul depliant (“L’Indovino”), prescinde assolutamente da una tipologia di tipo fisico, da un rapporto preciso con un certo tipo di personaggio. Cioè le soluzioni del linguaggio sono soluzioni tra picassiane e, appunto, tedesche nell’area di Beckmann, nell’area di Hofer. Quindi direi che in Sicilia, forse, Hess si è incontrato con una umanità che lo interessava proprio per la spontaneità e la forza genuina della sua presenza. E quel tipo di paesaggio lo ha interessato perché ben avvicinabile nella sua struttura: una soluzione formale di estrema violenza, che è quella di Beckmann, che è quella di Hofer. Direi che persino l’elemento cromatico sul quale si è battuto molto, al di là
di certi acquerelli dove l’immagine prende un’impronta più paesistica, più superficiale, anche là in questo elemento cromatico, mi pare che vi sia una smorzatura del tono che riporta ad una volumetria di tipo violento, dinamico, ancora riportabile alla matrice di tipo espressionista.

 

Germano Beringheli:
Direi che quello che i pittori che citavo prima - Guttuso, Migneco - in effetti non hanno visto la loro terra con gli occhi del pittore italiano, ma in quegli anni l’hanno vista attraverso il linguaggio che si stava aprendo e che non era assolutamente il linguaggio della pittura italiana, ma quello che veniva dall’espressionismo tedesco e dal cubismo, soprattutto. E questa coincidenza, credo, sia molto importante proprio perché, al limite, ci porta forse a renderci conto di un fatto, che contraddittorio, in fondo, non è tanto quello di darci - come diceva Bruno - la tipologia dell’individuo, ma semmai è quello di portarci in un clima, di portarci - diceva giustamente Bruno - l’interesse per una umanità in un modo particolare. Questo c’è in Hess.

Evidentemente c’è stato poi in Guttuso, c’è stato poi in Migneco. Io prima ho detto che c’era un’opera che mi ricordava Scipione e Mafai. Evidentemente penso che Mafai e Scipione sicuramente non hanno visto le opere di Hess, ma hanno visto probabilmente le matrici, le opere che hanno determinato quelle di Hess. Ecco questo rapporto. Un rapporto che ci meraviglia, così che possiamo dire - io almeno non conoscevo l’opera di questo pittore - stupisce anche vedere certe anticipazioni, però giustificate e giustificabili subito, quando si vede che la matrice è la stessa. Che Hess abbia fatto il giro di Parigi o che sia sceso direttamente da Monaco, la matrice è quella.

 

Gianfranco Bruno:
Potrei dire ancora questo: malauguratamente gli artisti italiani non hanno visto le opere di Christian Hess, perché se le avessero viste (anche per quello che è tutto il significato del Novecento italiano) avrebbero inteso che la versione plastica della figura, quale poteva essere data da Picasso o da Max Beckmann, non mirava ad una monumentalità celebrativa, ma proprio ad una elevazione della figura umana, dentro un clima di grandiosità, di volontarismo, proprio di azione che la riscatta (si veda per esempio questo quadro che è qui alla mia destra “Ritratto di amica II”) e anche mirava ad un clima poetico in cui questa monumentalità venisse trasferita proprio bruciando le scorie della declamazione di tipo novecentesco, ben diffuso, invece, nella pittura italiana.

 

 
 

 

 
 
 

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