Centro
d’Arte Carmagnola Sabato 22 marzo 1975
- ore 18 |
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Saluto del Conte
Egon
Westerholt, direttore del Goethe Institut di Genova:
Per
noi del Goethe Institut è oggi un dovere ricordare Christian Hess, un importante
pittore tra le due guerre. Non è solo fra questi pittori un umanista, ma è anche
lui stesso un legame tra la Germania e l’Italia, perché univa in sé le migliori
tradizioni dei nostri paesi. Ringrazio di cuore Germano Beringheli e Gianfranco
Bruno per aver accettato di illustrare l’opera di Christian Hess. Ringrazio
Pierluigi De Lucchi per il suo aiuto, per aver messo a disposizione questa bella
e qualificata Galleria. Un cordiale saluto tutti i presenti e particolarmente a un ospite di Palermo,
il giornalista Ardizzone della Rai, membro del Comitato organizzatore di questa
mostra. |
Germano Beringheli
critico d'arte: |
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Personalmente dovrei
partire con una constatazione. Ci troviamo di fronte ad un pittore che ha
riassunto, pressoché in tutta la sua opera, i caratteri specifici della pittura
austriaca e tedesca, dal periodo della prima Secessione in poi. Si diceva poco
fa: sì c’è Beckmann, è vero, ci sono altri pittori dentro; tuttavia mi pare che
ci sia un’osservazione da fare. Questo pittore ha lavorato in Italia. Chi ha
presentato la mostra ha pensato di trovare degli addentellati con gli artisti
italiani. Probabilmente ci sono, anche. Credo, però, che gli artisti che di più
hanno influenzato l’arte di Hess, siano soprattutto i francesi e, forse, qualche
italiano.
Ci
sono dei quadri che ci ricordano Severini e altri che ci ricordano un certo
Casorati. Però, qui, andrebbe tutto ribaltato: cioè se in un certo momento non
ci ricordano Casorati perché abbiamo visto Casorati? Perchè poi verifichiamo le
date e ci accorgiamo che certe opere sono datate 1925, sono datate prima. Il
caso tipico è quello di un quadro che non è qui e che è riprodotto in catalogo a pagina 37 (Bagnanti sul
lago - olio su cartone) che stranamente ricorda un’opera notissima,
l’“Apocalisse” di Scipione, ricorda alcune opere di Mafai, tutte datate dopo
questa, che è datata 1924.
Ora
queste interferenze ci fanno pensare. Ci fanno pensare perché ci sono dei
paesaggi: ce n’è uno, il paesaggio con “Asinello e fichidindia” che è già una
soluzione alla Migneco, una soluzione alla Guttuso, pittori che in quegli anni
erano veramente ragazzini e che noi sappiamo che non hanno veduto le opere di
questo artista. Direi, appunto, se si può fare un discorso (e poi ne parleremo
un po’ assieme) è quello di questo strano “pendolare” – se così possiamo
chiamarlo – tra una cultura europea che riesce sempre e fermamente a conservare
i caratteri della cultura tipica tedesca e in particolare della cultura di
Monaco.
A questo punto c’è da
dire che ci sono dei quadri di un certo periodo che sono opere veramente
importanti; altri quadri che, forse, lo sono un po’ meno. Forse se vedessimo
inquadrato Hess accanto ad altri pittori tedeschi del periodo coevo potremmo
trarne dei suggerimenti maggiori. Indubbiamente è stato un grande interprete
senza, ripeto, senza perdere assolutamente i caratteri nativi. Ed è stato anche
un grande interprete, forse, del paesaggio italiano. Dico forse perché anche
quando dipinge la Sicilia resta tedesco, concede poco, anzi, stranamente quando
noi recuperiamo qui qualcosa di italiano, finiamo sempre col recuperare un
qualcosa di italiano che è venuto in Italia o dalla cultura francese (abbiamo
visto che c’è Picasso dentro, che c’è Braque, che c’è persino Dufy) oppure viene
a quella cultura italiana del dopoguerra che si è alimentata all’espressionismo
e all’immediato periodo prima della guerra, agli anni ’30 e ’35, che si è
alimentato all’espressionismo tedesco, proprio come situazione di liberazione da
tanto classicismo. Ecco, direi una secca
che ha evitato - nonostante ci sia un quadro che ricorda un po’ De Chirico -
così ha evitato veramente le secche di quella cultura autarchica che in Italia
si è vissuta tra gli anni ’26 - ’27 sino praticamente al ’32 -’33, perché poi
col ’37 e ’38 incominciano le situazioni anomale, le interferenze, le assunzioni
di cultura più libera, aperta ad una situazione autarchica.
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Gianfranco Bruno, Direttore Accademia Ligustica di Belle Arti: |
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Posso dire brevemente
che significato può avere nella cultura genovese
la presenza di una mostra di un
artista come Christian Hess. E poi, forse - dato che Beringheli ha già
ampiamente analizzato quello che è il percorso di Hess e i suoi rapporti con la
cultura coeva – che interesse può avere per un addetto ai lavori, questo
artista. Per quanto riguarda
la cultura ligure è importante che si veda a Genova un artista con una gamma di
interessi così larga e che in un certo modo rimanda ad un momento importante
della storia artistica europea, forse più sotteso, meno noto , ma molto
attuale:il periodo del realismo rappresentato da una serie di artisti, da Max
Beckmann a Karl Hofer nei quali alla violenza delle soluzioni formali di
carattere espressionista, si accompagna una carica di contenuti veramente molto
attuali per l’interesse che questi artisti dimostrano verso una situazione
dell’uomo contemporaneo. Quindi in una città come la nostra dove la cultura
artistica è passata molto di soppiatto – e non è stata approfondita neanche in
quello che è il significato delle avanguardie storiche – penso che la mostra un
suo senso, se ben letta, possa averlo.
Per quanto riguarda
l’interesse per un addetto ai lavori e di conseguenza per tutte le persone che
si occupano di problemi d’arte direi che l’aspetto più interessante di questo
artista - che è una felice scoperta in quanto sta accanto, con molta dignità,
agli Hofer e ai Beckmann, sebbene non abbia la virulenza carica di questi
artisti – consiste proprio nel
vedere come al fondo di queste soluzioni, anche quando esse siano diverse (cioè
quando l’artista va da una impostazione di tipo realistico espressionista ad
un’altra che assume i dettagli dell’analitica cubista) sotto stia una volontà di
scoprire valori umani, cioè di parlare di situazioni reali di uomini, proprio in
un tempo ed anche in una specifica situazione, quella del nostro meridione.
Ma una lettura
siciliana di Hess mi pare un po’da disattendere. L’impostazione cromatica dei
dipinti certo risente fortemente di un clima di una zona geografica in cui egli
ha operato. Ma, come Beringheli ha già fatto notare, permane al fondo del suo
linguaggio una carica deformante , una costante di violenza sulla figura umana
che non si potrà disgiungere mai da quel realismo europeo di grossa portata che
fa capo a Max Beckmann. E accanto proprio a questa parentela stretta di tipo
formale con l’avanguardia, con la forza del realismo tedesco una altrettanto
potente intenzionalità nel restituire la figura dell’uomo, non l’uomo siciliano,
non l’uomo tedesco, ma l’uomo nei suoi valori fondamentali, letto con una
capacità di sintesi della forma e con un approfondimento proprio di tematiche
d’ordine psicologico e di valore che non possono essere certamente circoscritte
ad una così circostanziata e precisa zona geografica.
Sorprende, poi, la
qualità di questi dipinti, specialmente degli anni fino al ’35: vedere le opere
di Hess, avere visto di recente, in mostre, opere di Beckmann, opere di Hofer e
ritrovare immediatamente un clima, cioè stabilire una comunicazione con quello
che è uno sforzo dell’artista europeo di dare una figura all’uomo, di dare un
significato di tipo universale a questa ricerca di valore umano. Ecco mi pare
che la mostra giunga molto opportuna, soprattutto in coincidenza con questo tipo
di tematica, di recupero, proprio, di una contenutistica di valore umano. |
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Prof. Giovanni Persico, assessore Regione Liguria, docente universitario
di Diritto: |
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Vorrei chiedere se si
hanno notizie di contatti personali tra Christian Hess e artisti europei |
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Gianfranco Bruno: Sì, sappiamo di un incontro molto importante con Beckmann. Però mi pare che
l’incontro con Beckmann sia anteriore alla conoscenza diretta. Molto
probabilmente, nel clima di formazione dell’artista e di conoscenza della
pittura tedesca, la figura di Beckmann ha contato moltissimo, prima ancora che
Hess lo conoscesse. Come del resto avviene sempre per gli artisti: la conoscenza
è un dato che prescinde dall’incontro personale. Le opere di Beckmann
circolavano prima dell’intervento dei nazisti dell’arte degenerata. Circolavano
in Germania ed erano visibili. Questo è un dato. |
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Giovanni Persico:
Per quanto lei avrebbe escluso che
Hess sia stato influenzato dalla sua permanenza in Sicilia, contemporaneamente è
stato detto prima che in pittori successivi siciliani (Migneco, Guttuso, e
altri) ci sono veramente dei temi che richiamano molto questa pittura. Ora
voglio dire: questo non è un segno che quanto meno Hess ha saputo esprimere
qualche cosa che era in questa stessa terra, per il fatto che pittori siciliani
abbiano poi ripreso questi temi? Quindi a me pare che, forse, questa esclusione
sia troppo rapida. |
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Gianfranco Bruno:
Indubbiamente ci sono degli elementi,
proprio, di riferimento preciso ad un determinato paesaggio, ma direi che le
analogie di cui parlava Beringheli sono analogie più che tematiche, di tipo di
soluzione di linguaggio artistico. |
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Giovanni Persico:
Scusi se interrompo: certi visi, certe
espressioni sono siciliani. |
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Germano Beringheli:
Sono siciliani… tradotti in tedesco… |
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Gianfranco Bruno:
Io direi che non si tratta neanche di
analizzare il quadro da questo punto di vista, cioè se vi sia una tipologia
fisica che corrisponda al carattere della persona siciliana o tedesca.
Evidentemente
certi elementi derivano dall’avere usato come modelli delle persone del posto,
chiaramente.
Ma la risoluzione formale, anche nel grande quadro che è stato
riprodotto sul depliant (“L’Indovino”), prescinde
assolutamente da una tipologia di tipo fisico, da un rapporto preciso con un
certo tipo di personaggio. Cioè le soluzioni del linguaggio sono soluzioni tra
picassiane e, appunto, tedesche nell’area di Beckmann, nell’area di Hofer.
Quindi direi che in Sicilia, forse, Hess si è incontrato con una umanità che lo
interessava proprio per la spontaneità e la forza genuina della sua presenza. E
quel tipo di paesaggio lo ha interessato perché ben avvicinabile nella sua
struttura: una soluzione formale di estrema violenza, che è quella di Beckmann,
che è quella di Hofer. Direi che persino l’elemento cromatico sul quale si è
battuto molto, al di là
di certi acquerelli dove l’immagine prende un’impronta
più paesistica, più superficiale, anche là in questo elemento cromatico, mi pare
che vi sia una smorzatura del tono che riporta ad una volumetria di tipo
violento, dinamico, ancora riportabile alla matrice di tipo espressionista.
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Germano Beringheli:
Direi che quello che i pittori che
citavo prima - Guttuso, Migneco - in effetti non hanno visto la loro terra con
gli occhi del pittore italiano, ma in quegli anni l’hanno vista attraverso il
linguaggio che si stava aprendo e che non era assolutamente il linguaggio della
pittura italiana, ma quello che veniva dall’espressionismo tedesco e dal
cubismo, soprattutto. E questa coincidenza, credo, sia molto importante proprio
perché, al limite, ci porta forse a renderci conto di un fatto, che
contraddittorio, in fondo, non è tanto quello di darci - come diceva Bruno - la
tipologia dell’individuo, ma semmai è quello di portarci in un clima, di
portarci - diceva giustamente Bruno - l’interesse per una umanità in un modo
particolare. Questo c’è in Hess.
Evidentemente c’è
stato poi in Guttuso, c’è stato poi in Migneco. Io prima ho detto che c’era
un’opera che mi ricordava Scipione e Mafai. Evidentemente penso che Mafai e
Scipione sicuramente non hanno visto le opere di Hess, ma hanno visto
probabilmente le matrici, le opere che hanno determinato quelle di Hess. Ecco
questo rapporto. Un rapporto che ci meraviglia, così che possiamo dire - io
almeno non conoscevo l’opera di questo pittore - stupisce anche vedere certe
anticipazioni, però giustificate e giustificabili subito, quando si vede che la
matrice è la stessa. Che Hess abbia fatto il giro di Parigi o che sia sceso
direttamente da Monaco, la matrice è quella. |
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Gianfranco
Bruno: Potrei dire ancora questo: malauguratamente gli artisti italiani non hanno visto
le opere di Christian Hess, perché se le avessero viste (anche per quello che è
tutto il significato del Novecento italiano) avrebbero inteso che la versione
plastica della figura, quale poteva essere data da Picasso o da Max Beckmann,
non mirava ad una monumentalità celebrativa, ma proprio ad una elevazione della
figura umana, dentro un clima di grandiosità, di volontarismo, proprio di azione
che la riscatta (si veda per esempio questo quadro che è qui alla mia destra
“Ritratto di amica II”) e anche mirava ad un clima poetico in cui questa
monumentalità venisse trasferita proprio bruciando le scorie della declamazione
di tipo novecentesco, ben diffuso, invece, nella pittura italiana. |
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