Per farsi un’idea il
più possibile vicina alla realtà della personalità di
Christian Hess (fu segnato in anagrafe come Alois Anton,
ma preferì attribuirsi il nome di Cristiano), cioè a
dire dell’artista nato a Bolzano il 24 dicembre 1895, e
di cui si festeggia ora la scoperta con una vistosa
esposizione nelle sale della galleria “Goethe”, è
necessario ripercorrere brevemente il tormentato
curriculum della sua esistenza. Quando Christian ebbe i
natali nella casa di via dei Portici 72, probabilmente
suo padre, Dominikus, si rallegrò pensando che il
ragazzo avrebbe abbracciato la tranquilla professione
del genitore, cioè quella di impiegato pubblico. Gente
pacifica (la madre Rosa Mayer, era una donna di buona
pasta tirolese), aspirava alla quiete serena di una
regolare stipendio mensile, interrotta, semmai, dagli
spostamenti – non sempre sgraditi – da una città minore
ad una sede più importante. Dominikus, del resto, aveva
già emigrato una volta da bambino: La sua famiglia
proveniva da Herlatzhofen, nel Wüttemberg. Quando questo
robusto staterello nel 1866, si schierò (in un primo
tempo) con l’Austria contro la Prussia, le cose si
misero male per alcuni fautori dell’impero asburgico,
che dovettero cambiare sede. Per gli Hess, Bolzano fu
una tappa, un soggiorno decennale di cui perdettero
presto il ricordo, trasferiti felicemente nella città di
Innsbruck. Qui Christian iniziò gli studi ginnasiali; ma
nel 1908, dopo la morte del padre, preferì l’artigianato
artistico. Il passo sino a Monaco fu breve. Ma la prima
grave interruzione, gli fu imposta dalla conflagrazione
europea. Nel 1916, poco più che diciottenne, è chiamato
alle armi e spedito in guerra. Riprenderà gli studi
accademici alla fine della guerra, ma li completerà alle
soglie del trentesimo anno di età. Nel frattempo
partecipa a “collettive”, tiene mostre in varie città
austriache, compie lavori di scenografia e copia alcune
opere celebri di grandi maestri (ad uso di
collezionisti): poi, finalmente, nel 1929, entrato nel
gruppo dei “fuori giuria” (Juryfreie), partecipa alla
mostra nelle sale del Lehrter Bahnof: sono in molti (gli
iscritti compresi nel Juryfreie Kunstschau sono ben
440!). Hess viene notato e segnalato, tra una miriade di
giovani, ma non emerge. Waldemar Jollos, nelle sue
pubblicazioni sull’arte tedesca fra le due guerre, non
ne fa cenno. E così altri critici e storici dell’arte,
se si eccettui Hans Eckstein che gli dedica un breve, ma
significativo appunto critico (è lo stesso Eckstein che
ha contribuito alla sua presentazione, nell’attuale
manifestazione rievocativa di Bolzano, destinata a
spostarsi altrove.
Ma torniamo alla vita di Christian Hess. Non passa molto
tempo e sulla Germania si abbatte la furia nazista. Gli
artisti sono subito presi di mira. E’ il 1933 e
Christian è costretto ad emigrare. Approda in Sicilia,
dove trova asilo presso una sorella, sposata a Messina.
Cominciano nuove difficoltà e nuovi mutamenti di sede;
tanto più che nel frattempo si è sposato. Ma nel 1936
riesce a recuperare dalla Germania una parte della sua
mobilia e dei suoi quadri e a portarli nell’isola. Nel
frattempo visita Firenze e altri centri d’arte. Poi va
ripetutamente in Svizzera e, infine, recatosi nel 1940 a
Monaco, è arrestato dalla polizia militare. Le sue
condizioni di salute sono pessime e viene inviato
all’ospedale di Schwabing. Dimesso, si porta a
Innsbruck. Lavora come può, fa disegni per ditte
commerciali, realizza affreschi a Zirl (palazzo
comunale), finisce nuovamente in ospedale: finché il 26
novembre 1944, dopo un bombardamento aereo, muore
nell’ospedale di Schwaz. Nella sua vita,
travagliatissima, non ha goduto che di brevi spiragli di
quiete. Non ha potuto formarsi una personalità autonoma,
incisiva, anche se possiede le doti per imporsi. Le
vicende della vita gli hanno tarpato le ali. Ecco perché
le sue opere da un lato arieggiano qua e là Cezanne e De
Chirico, Gauguin e Jodler, Matisse e lo stesso Max
Beckmann. Ma il suo approdo più attendibile (pur fra le
oscillazioni dall’espressionismo all’astrazione, e da un
certo romanticismo magico ad un realismo più pacato)
pare quello configurabile nell’arte di Karl Hofer, al
quale Christian Hess si sentiva spiritualmente più
vicino. Ma mentre Hofer opera con un cromatismo fumoso,
fosco, raramente ravvivato da tonalità rosso- azzurre,
la tavolozza di Hess, intrisa del fulgore mediterraneo,
è assai più ricca e vivace; e sono proprio i lavori
eseguiti in Italia quelli che hanno siglato
l’autenticità del pittore di Bolzano, che ha saputo
sciogliere, al sole della Sicilia, certe forme rigide e
quasi catafratte del suo paese di origine, per
abbandonarsi all’ebbrezza del colore. Vanno quindi
comprese alcune discontinuità stilistiche e certe
tautologie (per così dire) ispirate ad altri autori di
maggiore possa: Christian Hess visse poco e male, per
potere imporre un suo linguaggio e una sua tematica.
Tuttavia le sue opere - dalle nature morte ai paesaggi,
dai nudi ai personaggi e agli episodi dalla vita della
Trinacria - hanno una bellezza e un fascino che
sottintendono un’ansia di giungere in un porto, che per
Hess non poté mai toccare, e non per sua colpa. E bene
hanno fatto il Goethe-Institut di Palermo e, a Bolzano,
il direttore della galleria “Goethe”, Ennio Casciaro, a
fissare una tappa notevole alla mostra itinerante di un
artista che qui vide la luce.
Carlo Galasso