Ciò che
maggiormente colpisce nella mostra antologica che la Galleria Artmessage
propone a Roma di Christian Hess credo possa identificarsi, oltre che
nel clima magico dal quale le opere sono accompagnate nonostante il loro
apparente realismo, è la sorprendente intuizione storica che in esse è
ravvisabile. Ciò va detto in relazione al presagio che Hess testimonia
con tempestività, di quello che sarebbe stato il destino dell'Europa del
suo tempo.
Non credo si possa
accettare l'idea riduttiva secondo la quale, in qualche modo, la pittura
di Hess racconterebbe ancora una volta che la Sicilia è lì, con il suo
sole, i suoi fichidindia, il mare, il candore abbagliante e incorrotto
della sua sensualità panica, la molteplicità ardente e geografica dei
suoi desideri pagani.
Certamente, in Hess
si coglie la serie fascinosa di questi dati. Avanzare tuttavia un
esegesi sommaria secondo un'enumerazione così proposta rischia una
genericità posticcia ed epidermica. Il problema è qui di ravvisare negli
elementi descrittivi isolani il materiale plastico esistente, con le sue
mitologie antiche e incancellabili, e però di assumerlo come alfabeto
descrittivo e variamente componibile, per la sola ispezione che si può
tentare in direzione di un autore tanto allusivo.
Hess offre
intanto la sensazione immediata e quasi terribile di un’anticipazione
medianica relativamente a una serie di momenti sperimentali della
pittura e dei linguaggi con i quali negli anni del primo dopoguerra si
espresse la decifrazione della libertà e si creò la storia della
democrazia. Intorno agli anni ‘20, il pittore decide di abbandonar le
brumose pianure anseatiche e di trasferire la sua esistenza in Sicilia,
dove una sua sorella si era già sposata.
In realtà, però,
sarebbe assurdo negare o non accorgersi che al di là della commossa
identificazione dei temi e degli
oggetti
nei quali si privilegia la scrittura dell’autore, non vada soprattutto
ricercata, proprio in una più corretta operazione epistemologica,
l’ascendenza misteriosa e diversa dell’ “homo germanicus” che ha
adottato una natura nella quale fu per lui impossibile calare e
strutturare la propria psicologia e che dunque assume costantemente ai
suoi occhi il significato di un caleidoscopio stupefacente.
Certo, la sua
montagna sarà più precisamente connotata e raccontata da Guttuso, ma il
maestro siciliano ha inteso soprattutto narrare, anch’egli -
dall’interno della propria esistenzialità - la terra della quale è
impastato. Hess, viceversa, rimane rinchiuso nel proprio incantamento
solitario e la sua partecipazione passionale e.stupita alla vita della
Sicilia non gli consente mai di tradire gli afflati nordici che egli
ritrova in se stesso, quando riguarda, come fa negli autoritratti, i
propri occhi smarriti o la trepidazione di un sorriso appena accennato.
Isolato, dunque, e
doppiamente straniero, in una Sicilia anch'essa doppiamente soggiogata:
da un fascismo imperante e retorico assolutamente alieno e chiuso ad
ogni sollecitazione e a qualsiasi eco di rinnovamento potesse giungere,
da parte di chi intanto proponeva nell'Europa invasa dall'angoscia dei
due decenni che contrassegnavano il distacco della prima dalla seconda
guerra mondiale segni e simboli di un mondo che stava per esplodere
apocalitticamente e di una fenice storica che si preparava a rinascere
dalle proprie ceneri.
Le piccole bottiglie
di Morandi, negli stessì anni ai quali con Hess si fa riferimento,
schivo e taciturno come egli fu, invitano gli uomini a ripensare nel
proprio interno vitale ai valori del quotidiano, a ritrovarvi i messaggi
della fratellanza umana, della tenerezza e dell'intelligenza dell'uomo.
Ciò accade contro le sfarzose e ridondanti parate del regime che vengono
silenziosamente rigettate ed escluse dall'intelligenza che pur
segretamente opera in un'Italia esclusa dalla cerniera dell'ottusità e
della violenza.
Ma il secondo
elemento testimoniale in questa solitudine che oggi soltanto si comincia
sorprendentemente a ravvisare in Christian Hess, è quello di far
coincidere con questi fattori gli elementi sto riti di anticipazione
espressiva e ideologica, e ancor più tenacemente segnati e significanti
nel destino toccato alla Sicilia di essere emarginata dallo stesso
contesto della società nazionale. Le persone delle quali Hess offre il
suo incantevole eppur enigmatico racconto visivo parlano certamente
questo tipo di linguaggio, il quale richiede il presagio di sé e della
morte che può ritrovarsi totale nell’autoritratto.
Chi ruba le colombe
di Christian Hess, nella commovente metafora del “Carabiniere e del
ladro”, entrambi colti con la sorpresa e con la pena di non essersi
saputi riconoscere per ciò che essi sono, nella reciprocità di un
messaggio intimo di trepidazione mediato dalle colombe bianche e
tuttavia sopraffatti dallo stupido contrappunto che è stato sopra di
essi grettamente rovesciato: da una parte il carabiniere e dall'altra il
ladro. Ma essi hanno gli stessi dolci e tristi occhi, e gli occhi dei
siciliani che Christian ha conosciuto e ha riconosciuto sono ancora
quelli: la “Ragazza con melagrana”, il “Ragazzo con sigaretta”, la
“Ragazza tra i papaveri”, “Antonia e velieri”, il “Giocatore di
scacchi”, la “Donna con cappello nero”, ma soprattutto l'aria di
complice intesa nell'abbandono allusivo dei “Pescatori di Taormina”.
La Sicilia viene
dunque fuori non solo attraverso i colori che pure Hess ha vastamente
descritti, bensì nella penetrante omogeneità psicologica che ne descrive
gli abitanti. Per quanto riguarda la tecnica che più specificamente
esprime la personalità storica di Christian Hess, va indubbiamente
assegnato alle “Bagnanti sul lago” del 1924 il ruolo davvero singolare,
per un’opera che si ha motivo di ritenere pensata e attuata con
casualità e rapidità, di chiave interpretativa e intensa dell'identità
pittorico-culturale dell'autore.
Non v'è dubbio che
suggestioni naturalistiche e impressionistiche hanno agito sia pure da
lontano sulla mano di Hess, e va detto che non è difficile identificare
le proiezioni paraboliche di tali richiami, nei vari momenti che segnano
la storia di questo singolare autore. E però bisogna avanzare la massima
attenzione nel giudicare troppo frettolosamente alcune di queste
indicazioni suggestive, coscientemente adottate del resto, poichè ciò
che più stupisce in tale fatto è, a mio parere, la capacità che egli ha
avuto di rendersi conto di una cosa certamente importante della quale la
grande parte dei nostri pittori del periodo fascista non tenne conto: il
fatto cioè che era ben al di là dell'apparenza che bisognava compiere il
tentativo di ricercare la motivazione più profonda dell'essere e dei
comportamenti umani, e che tale avventura si consumava all'interno dello
spazio fisico nel quale l'individuo agiva e in relazione al tempo che
dalla sorte gli era stato assegnato.
Le deformazioni
fisiche di Picasso costituivano dunque tutt'altro che un capriccio di
ardua decifrazione, e Modigliani avanzava come un'inquietante pietra di
paragone della condizione individuale. La bellezza assumeva toni e linee
diverse, ben lontane da quelle che la convenzione ripetitiva e le
rimasticature della cattiva letteratura di regime pretendevano di
imporre. Il tardo '800 era costretto a umilianti confessioni.
Le “Bagnanti sul
lago” prorompevano con la loro carica di sensualità indistinta come un
fiume tenero e avvolgente di colore e di desiderio, e la Sicilia poteva
dunque ravvisarsi, anche se altrove pensata con maggior compiutezza,
nelle motivazioni e nelle chiavi che avevano suggerito quell'opera, e
che poteva successivamente ritrovarsi nell' “Asinello e fichidindia” del
1925. Anche a proposito di quest'ultima opera, è da escludere che in
qualche modo possa considerarsi una presenza pittorica analogica ai
linguaggi guttusiani, sollecitati da ben diversi intendimenti di colore
e di spessore antropologico, e suscitati da un diverso timbro di
pensiero. Qui i toni sono abbacinati da un sole bianco e bruciante, ed
Hess ci racconta esattamente come un uomo del nord può trasferire la
mistica tedesca senza variarne l'intensità suggestiva in una realtà ben
lontana da quella nella quale egli aveva costruito la propria cultura,
costretto come lì era stato ad assurde rimozioni.
Ancora, il racconto
continua negli “Uliveti” messinesi del 1927 le “Agavi” e le donne
bianche che egli cattura come spettri di uno stato umano lontano ed
impenetrabile, ombra di persone non conoscibili che abitano in balconi
protetti da gelosie. di stoffa e da cactus pietrificati. E intanto le
donne dello Stretto guardano dalla finestra “Don Giovanni d'Austria” e
l'Annunziata dei Catalani, mentre l' “Indovino” dell'anno '33 troneggia
nella grande tela con i magici oggetti del suo rituale etnico: il
carretto siciliano, le melanzane, il cesto di vimini, ancora le colombe
bianche, la pipa, la coppola, la tromba, la gabbia col pappagallino
sapiente, le bandierine, e la folla accorsa dal litorale per ascoltare
la predizione del mago povero: uomini e donne identici ai santi e agli
angeli di cartapesta venerati nelle chiesine di Taormina o del Tindari.
E'
dunque il poeta dell'attesa che canta e vaticina attraverso i quadri di
Hess, il poeta della fata Morgana, che attraverso la struttura della
quale egli si serve per comporre la sua canzone, guarda come un
cantastorie siciliano venuto da lontano a un futuro che incombe,
smascherando negli occhi della “Baronessa con la veletta” e nella sua
bocca sprezzante il microcosmo dell'intolleranza, e invitando subito
all'amore e alla pazienza gli uomini di un tempo e di un paese nel quale
egli si sente straniero eppur fratello, come era accaduto prima che a
lui ai grandi tedeschi che lo avevano preceduto.
Emilio Argiroffi
|