Alcuni
momenti dell’arte del nostro secolo, specie dei suoi primi
decenni, nonostante le analisi che sono state proposte nelle
sempre più frequenti grandi mostre e rassegne specifiche,
dovranno, nel tempo, subire una ulteriore revisione: spesso,
infatti, sfuggendo a quelle analisi personalità
interessanti.
Autori a volte isolati, lontani dal grande pubblico - e
allontanati da ogni Celebrazione – sono di recente, infatti,
tornati ad essere osservati con particolare attenzione. E si
dirà solo di quel gruppo di artisti riproposti dalla mostra
bolognese “La metafisica e gli Anni Venti”, riesaminati poi
dalla milanese “Anni Trenta” come Ubaldo Oppi e Cagnaccio di
San Pietro. Pittori che appaiono in tutta la loro attualità.
Dovendo, così, parlare di Christian Hess, nato a Bolzano nel
1895, ma di cultura evidentemente tedesca e a lungo, poi,
vissuto in Sicilia (regione che fu frequente meta di
intellettuali d’Oltralpe) ci si dovrà in qualche modo
rifarsi a quanto detto su quelle particolari entità che, se
riviste, potrebbero offrirsi se non proprio sorprendenti,
quanto meno interessanti. Hess è proposto, oggi, dalla
Galleria Artmessage di Roma (Corso Rinascimento) in una
sintesi di opere che traccia, tuttavia, con qualche
chiarezza, quei suoi intenti e quei suoi percorsi. Può
tuttavia, in tutto ciò scoprirsi l’evoluzione d’un discorso
coerente che nulla rinnega: qua e là riemergendo
l’esperienza del passato. Si influenzò l’artista,
nell’ambiente della “Secessione” e neppure rimase, si
direbbe, del tutto indenne dallo spirito del “Blau Reiter”,
emergendone accenti, sia pure inconsci, in opere di epoche
successive.
Ma fu la cultura del classicismo, del ritorno all’ordine
degli Anni Venti-Trenta, quella che doveva maggiormente
premere sulla sua individualità. Sarà, così, possibile
rivedere, in quei quadri, lo spirito di una atmosfera,
mentre non si crede sia il caso parlare di riferimenti che,
in un uomo quanto lui solitario, doveva semplicemente
inquadrarsi come un qualcosa che si capta nell’aria. Era il
periodo con un suo particolare gusto, e di quello, il
pittore, partecipò. Raffrenando certo la cromia;
cristallizzando in qualche modo le forme; costringendosi
come in una misura compatta, e pure, altre volte
schematizzando evocativamente l’immagine.
Finalmente l’arrivo in Sicilia. Per lui, più tedesco che
italiano, significò la scoperta e l’immedesimazione nella
luce solare del Mediterraneo. Mutando, dunque, il registro
di quelle note cromatiche: ampliando di pari passo anche
l’orizzonte introspettivo. La natura siciliana, quel verde,
quelle rocce, quelle piante, quegli azzurri, quelle
sensazioni di calura lavica si rifletteranno nella sua opera
che arriverà anche ad abbracciare scene di quotidianità
proletaria.
C’è, in questa mostra del periodo siciliano, non tanto l’“Autoritratto
sulla barca” del ’33, che potrebbe mostrare dei limiti,
quanto un paesaggio, “Asinello e fichidindia” del
’25, la cui forza espressiva ed emotiva si concentra tutta
sull’entità della materia che si offre per spesse e grumose
pennellate, a farsi particolarmente indicativo -
considerando soprattutto quella data - di una potenza
espressionista coagulatasi nell’immagine.
Il pittore sembra qui, non subire i traumi della
rappresentazione. Identifica la forma col colore: il colore
con la luce: la luce con la materia. Così da sembrare giusta
interpretazione d’una realtà in qualche modo ancora
“selvaggia”. Una personalità, Christian Hess, che andrebbe
nel suo meglio analizzata: riproponendo, magari, la mostra
celebrativa che nel 1974 si tenne, sotto gli auspici della
Regione siciliana e del Goethe Institut, a Palermo.
Domenico Guzzi
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