Promossa dal Goethe Institut, la mostra di Christian Hess ha
toccato Firenze (Sala delle Armi in Palazzo Vecchio). Questa
pregevole antologica è composta in gran parte di quadri
italiani, siciliani, ed è un primo contributo alla
conoscenza di un pittore che fu anche incisore,
acquerellista, pittore murale e scultore, un po’
ingiustamente messo ai margini delle vicende dell’arte
tedesco-europea. Nel catalogo, che contiene diversi
contributi critici, Leonardo Sciascia parla di “un atto di
restituzione che la Sicilia compie” e di un valore primario
dei quadri dipinti a Messina. Per un giudizio più sicuro che
noi non siamo in grado di dare, bisognerebbe conoscere più a
fondo la produzione di Hess, compresa quella del muralista.
Ma è certo che natura e vita quotidiana siciliane salvarono
pittoricamente Hess.
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Christian Hess: “Donna con cappello nero”, 1930 |
Nato a Bolzano nel 1895 (cambiò i nomi di Alois Anton in
quelli di Louis Christian) dopo la guerra mondiale, nel
1919’20 si fece notare nelle mostre dei giovani a Monaco
come un fresco, sereno postimpressionista. Monaco che con
Parigi era stata una delle capitali della pittura mondiale,
aveva ceduto a Berlino e al realismo critico di pittori come
Beckmann, Grosz, Heartfield, Dix, Kollwitz, Radziwill. Fu
una posizione particolare, in una vita travagliata, quella
di Hess. Non fu pittore di lotta, un realista critico
antiborghese. In lui si continua una tradizione tedesca e
nordica del viaggiatore intellettuale proiettato alla
scoperta del Mediterraneo – da riportare poi al Nord come
una scoperta pittorica- e dei musei e dei grandi ambienti
storico-artistici. Amò molto la Francia ma non la toccò mai
nei suoi tanti viaggi : conobbe soltanto Anatole France nel
1921. Da lontano vagheggiò il cubismo tardo di Braque e di
Picasso: qualche quadro è un omaggio a questo cubismo
sognato. Amò anche il museo e non soltanto perché fece tante
copie su commissione, sia a Vienna sia a Firenze: per lui il
museo era vita come una città, un quartiere e il suo dialogo
con le forme antiche è un potente stimolo per il suo sguardo
sulla natura e sul quotidiano. Intellettualmente, poi,
preferì il mondo poetico del viaggiatore all’impegno sociale
e politico nella Germania degli anni venti; poi la tragedia
nazista della sua terra lo accompagnò come una maledizione
da lui sempre fuggita finio alla morte sotto un
bombardamento a Innsbruck nel 1944.
La Sicilia e Messina furono il suo rifugio: Ci tornò
innumerevoli volte e per lunghi soggiorni (si deve alla
sorella Emma, a Messina, l’essere stata prima un prezioso
aggancio umano e poi la salvezza di tante e tante opere
amate, curate, ordinate). Oltre il lontano cubismo francese
di Braque e Picasso, due furono i punti fondamentali di
riferimento di Hess: i grandi trittici simbolici e tragici
di Beckmann conosciuto nel ’28 e le figure quotidiane
postcézanniane di Hofer conosciuto nel ’30. Tutto il flusso
della luce, dei luoghi, della vita, siciliana è bloccato in
una composizione di colore, ora ardente ora dolce tra
Beckmann e Hofer. Di suo, di molto personale, Hess ci mette
lo stupore per la luce e le ore mediterranee e una simpatia
ora struggente ora ironica per ciò che è quotidiano e
popolano. Dice una cosa curiosa Sciascia: che Hess ha
dipinto le stesse cose di Guttuso (si potrebbe aggiungere:
con tanta preoccupazione in più, però, per il museo e per
l’antico un po’ come prese ai nostri Carrà, Funi e De
Chirico). Il lascito pittorico di Hess è la calma fiamma di
Messina e del Mediterraneo che egli ha dipinto tra il 1927e
il 1938: dai quadri di fichi d’india alle finestre e alle
terrazze; dalle “Donne di Messina” a “L’indovino”, a “Ladro
e carabiniere”, a “Autoritratto sulla barca”, al “Nettuno”,
e a qualche paesaggio più aperto siciliano e
toscano.
Dario
Micacchi
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