Critica

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  Hess - Testa e mano

Christian Hess
L' "anti-volto"
nel dipinto "Testa e mano"

di Michele Steinfl
Roma, 22 gennaio 2009

   
 

Ecco comparire di fronte a noi un braccio alzato, un volto che manca e un altro invece, di troppo, a sostituirne l’originale però questa volta in chiave diversa, opposta, quasi morbosa e negativa. Quel braccio alzato, come a mettersi la testa fra le mani, o le mani nei capelli, è un gesto di ben più ampia portata che non riferito ad un particolare tipo psicologico o ad una era della storia umana. Lì è ritratta, a mio modo di vedere, una frequente condizione umana, fotografata, anche solo simbolicamente e non necessariamente anche fisicamente, nel momento - e di questi momenti la vita sa farne attimi di verità così come effimere stagioni passeggere - della notte dell’anima e della grande contraddizione. Disperare per ciò che si è fatto o per ciò che si è, secondo l’artista, produce scenari interiori che non portano a nulla di buono, al punto che là dove nel disegno ci si potrebbe eventualmente attendere l’espressione di un volto, ci troviamo invece un metafisico ed angoscioso “vuoto”, il quale soltanto prepara la strada a quella testa scura raffigurata nella direzione opposta a quella frontale, un “anti-volto” a guardare all’indietro carico di una dimensione notturna e spettrale, di un valore ontologico e morale essenzialmente negativo, contrario alla verità, contrario alla vita.

 

Trasuda, da questo punto in poi, dalla tela di Hess, qualcosa che assomiglia ad una ragione morale positiva, attraverso la rappresentazione espressa dal Maestro di che cosa gli sembri e gli appaia, in quel momento della sua vita, come contrario al suo volere e sacrificabile, in virtù dell’essere questo “qualcosa” essenzialmente innaturale e nocivo nei confronti dell’uomo e della persona, abbracciata nel suo insieme.

 

Affliggersi diventa sconsigliabile semplicemente perché la ricerca e il perseguimento del proprio bene personale seguono un altro percorso, e questo nuovo percorso, improvvisamente, come una piccola grande “epifania” dell’anima, spunta e sorge, per contrasto con l’oscurità dell’anti-volto e del quasi magico ruolo che la sua raffigurazione ricopre all’interno del quadro, con un baluginare scintillante di luce e di respiro ora sì andando, idealmente, a riempire quel famelico vuoto centrale e a ricomporne una densa e sostanziale corposità, che però non è più né comunemente umana e mortale né infernale, ma trasfigurata e risorta, a nuova coscienza e a nuova vita.

 

E’ l’uomo nuovo che Hess, nelle vesti di moderno Socrate, riesce a fare albeggiare e germogliare, attraverso una mirabile e precisa “maieutica” della sua arte e di tutti i vivi e significativi simboli di cui essa si avvale. Il bene, secondo come ci viene testimoniato e tramandato dalle sacre scritture, è destinato a trionfare sul male, e la luce sulle tenebre, ma non sempre l’individuazione e risoluzione del “perché” ciò sia possibile si dimostra al ricercatore spirituale traguardo e conquista di facile portata. La terrificante oscurità dell’anti-volto di Hess, invece che possedere una sua valenza ontologica positiva, ne possiede piuttosto una “negativa”, esso cioè è più quello che “non è” che non qualcosa che “è”…, ed appare l’ intrinseca “ignoranza della verità delle cose” come caratteristica incisivamente capace di apportare e affondare il marchio più decisivo ai fini di un approccio possibilmente anche utile e pragmatico del progetto di questa opera. L’anti-volto è immerso nell’oscurità perché “non sa”…socraticamente parlando “non conosce sé stesso”, e biblicamente parlando non riconosce questo “sé stesso” che si porta dentro nel proprio cuore come il luogo di residenza e di dimora del Creato.

Quanti illustri poeti e letterati di tutti i tempi hanno cantato lo straordinario dono che la vita elargisce dell’amore e della passione, di ogni amore e di ogni passione, per il solo fatto di donarci il respiro e l’esistenza e di renderci vivi, realmente vivi, irresistibilmente vivi. Per gli antichi Greci le passioni umane erano addirittura sotto l’influsso e il volere diretto delle divinità (spesso così imperfette ed umane…) del Pantheon, e proprio per questo godevano di una loro propria intrinseca e primigenia “necessità” e “irresistibilità”. “Eros mi scuote, come vento tra le querce, sui monti”, scriveva Saffo, come ancora: “Dicono che sopra la terra nera la cosa più bella sia una fila di cavalieri, o di opliti, o di navi. Io dico: quello che s’ama”.

Hess, questo, lo ha intuito prima di noi e più di noi, lui che, a suo modo, nel caldo e splendente sud della nostra Sicilia trovò quella sublimante sorgente di libertà e di ispirazione che a ben guardare rappresenta e costituisce, in fondo, il simbolico traguardo e la meta di ogni ricercatore spirituale, di ogni pellegrino, di ogni essere umano. Se mai la tela “Testa e mano” riuscirà, come noi crediamo che sia potenzialmente in grado di fare, a riportare in superficie quella arcana scintilla di vita che chiamiamo spirito, armonia e vita, allora essa e lo stesso Hess che la partorì, potrà sempre godere della condizione immortale dell’arte e rimanere scrigno per ogni uomo di buona volontà, facendo sue le parole del grande drammaturgo e poeta Shakespeare: “Ma la tua eterna estate non sfiorirà / né perderai possesso della tua bellezza / né morte si vanterà / di coprirti con la sua ombra / poiché tu cresci nel tempo / in versi eterni. / Finché uomini respirano / e occhi vedono / vivranno questi miei versi / e daranno vita a te”. 

                                                                                                                                                Michele Steinfl