Critica

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Christian Hess


Viana Conti
 

 

Corriere Mercantile
Genova 28 marzo 1975

   
 

Hess – “L’Indovino” (olio 1933)

Si respira aria di riscoperta alla galleria “Centro Carmagnola” – vico omonimo 2 – con la retrospettiva su Christian Hess. Goethe Institut di Palermo e di Genova collaborano per restituire la giusta dimensione ad un pittore che ha compiuto la sua faticosa marcia attraverso due guerre ed un nostalgico esilio in terra italiana. Quando nel 1945 pittori e scultori tedeschi considerati perduti ricompaiono all’orizzonte, Hess è morto da un anno e le sue opere, eccettuando quelle salvate dalla devotissima sorella Emma, sono divise tra collezioni non reperibili, disperse nei continui trasferimenti, per non parlare di quelle bruciate nell’incendio del Glaspalast di Monaco durante una mostra del Gruppo Juryfreie, nel 1931.

La componente più straordinaria del suo lavoro sta nella capacità che egli ha di accordare un impeto germanico ad un calore mediterraneo. Il sogno di una Parigi mai conosciuta dal vivo, ma fiutata, nella vicina Italia, attraverso libri, notizie, informazioni sui Grandi, affiora nella composizione, nell’uso del colore, nel disegno dei volti e delle mani. Apparizioni archeologiche alla Savinio, il Picasso rosa e bleu di un profilo di bimbo, dello sguardo benevolo e lontano dell’uomo di “Coppia in costume da bagno” del 1930, insieme a ricordi di Braque, Cezanne, Juan Gris, riemergono in molte sue opere. Donne di spalle e di prospetto occupano di traverso la superficie della tela, si specchiano, contemplano il vuoto di un’attesa, una “modella nell’atelier” si avvolge in una pelliccia spelacchiata, stringendo sotto il braccio un volpino dagli occhi allucinati.

Costruzione tonale, valori plastici, accensioni “fauve”, momenti metafisici e surreali si alternano su un terreno pittorico sensibilissimo ai fermenti di un’Europa colta ed agitata. Un caprone mitico, un asinello tra i fichidindia di una Sicilia riarsa ed assolata affondano e rimescolano in un fondo espressionista che è tedesco, anche se scaldato a contatto con la terra, i soggetti di un prossimo Guttuso; il “Giocatore di scacchi” del 1931, il ritratto della piccola  Antonia del 1934, ricalcano la forza di Otto Dix.

I colori ossidati delle tele esposte danno l’età al quadro e ricollocano l’autore nel suo tempo: sul fronte ad intagliare il legno, a Lucerna e Monaco o Berlino aspettando una libertà ed una pace che non arrivano. In “Indovino”, “Ladro e carabiniere”, “Autoritratto sulla barca”, le tele del periodo siciliano, circolano nostalgia, umana partecipazione a certi risvolti della miseria, la ricognizione del paesaggio e dei personaggi non è fatta in chiave folkloristica ma si compie attraverso la trasfusione di uno spirito germanico entro un clima archeologico e solare, dove sogno, invenzione e promesse diventano condizione di vita per i pescatori e le loro donne. Christian Hess si avvicina nel volume e nel peso di certe braccia femminili, di certe architetture, allo spirito e al gusto del nostro Novecento. La mostra rimarrà aperta fino al prossimo 3 aprile.

                                                                                                          Viana Conti