C’è
un’Europa affrancata dalle volgari strettoie dell’Euro da
mettere in luce, quella della sua identità segnata dalla
Storia, l’unità geopolitica, quale riassetto del dopoguerra
e delle divisioni millenarie, votata quindi alla riparazione
dei disastri che ne sono scaturiti.
Gli intellettuali lo sanno, ma non sono loro che determinano
le politiche, forse neppure quelle culturali.
Un esempio? Nonostante le Mostre e i lavori critici, le
colombe che si ripresentano nella produzione dell’esilio del
pittore Christian Hess (Bolzano 1895-Schwaz 1944)
a 80 anni di distanza non riescono ancora a raggiungere
l’Europa, per testimoniarle di un oppositore tedesco al
regime nazista, realmente tra i pochi, che nella Messina
degli anni ’30, suo rifugio sicuro, ma al tempo stesso
prigione per un genio artistico di respiro mitteleuropeo e
delle avanguardie, lottava per la libertà della sua arte,
dunque per la sua vita. Una resistenza aristocratica,
un’aspirazione alla pace che non è banale presa di distanza
dalla guerra, ma attaccamento a ciò che è umano e che ha
dignità.
Ancora lì, davanti a quel mare dello Stretto,
incredibilmente insuperabile, le colombe della pace
di Hess chiedono di non restare confinate nel paesaggio
siciliano (forse anche amato, come hanno scritto, ma
indubbiamente subìto), di non dover dichiarare soltanto gli
aspetti cromatico-compositivi, elementi certamente
determinanti, parlando di pittura, bensì il pensiero
filosofico-culturale di Hess, unendosi finalmente alla
Colomba della pace di Picasso per rinforzarne il messaggio.
L’infelice pittore, profeta sotto le bombe del ‘44, incedeva
verso un destino tragico con portamento fiero, annunciando
l’Europa che verrà, quella che non dimentica il suo punto di
vista spirituale e culturale.
“Colombe sulla terrazza” (Messina 1933): tre colombe
rinchiuse in uno spazio molto delimitato sullo sfondo di un
grande cielo nero e irreale. Un po’ di chiarore soltanto nei
tre squarci di differente estensione, delineati senza troppa
convinzione, così che tutto l’insieme risulta livido e
triste. Come per i soggetti umani in altre composizioni
simboliche, anche queste tre bestiole sono vicinissime,
eppure non comunicano tra loro, sembrano anzi indifferenti a
tutto ciò che è intorno. La cupola del Cristo Re e lo
Stretto sempre davanti allo sguardo dell’artista, quasi un
limite geografico invalicabile. Nel disegno preparatorio di
questo dipinto ad olio, un lapis sul verso di un volantino
tedesco che in trasparenza lascia intravvedere delle
svastiche e la scritta “Actungh”, si indovina lo studio su
geometrie nella pavimentazione della terrazza, nelle scale
in primo piano e, forse anche nella balaustra, alla ricerca
di segni che potessero rimandare ai simboli nazisti.
“L’Indovino” (Messina 1933): un “autoritratto
biografico” di Hess. Il personaggio centrale, molto
somigliante al pittore, volge le spalle al mare ed esprime
tutta la malinconia del suo esilio in Sicilia, resa lieve
dall’abbraccio della gente semplice del luogo che lo
attornia, mentre nelle vesti del “veggente”, manifesta il
bisogno di interrogarsi sul suo futuro. Altro particolare
emblematico è che "L' Indovino" indossa la maglietta bianca
a strisce rosse degli artisti Juryfreie per significare
anche l’isolamento dei membri del gruppo messi al bando dal
regime nazista, dopo il rogo delle loro opere nell’incendio
del Glaspalast di Monaco.
Ladro e carabiniere” (Messina 1934): due colombe
bianche in primo piano, portate da un giovane, quasi fosse
il suo biglietto da visita, al carabiniere italiano che lo
affianca. I due personaggi non comunicano tra loro, guardano
qualcos’altro davanti e, mentre il carabiniere, a labbra
dischiuse, ha un’espressione di comprensione, il giovane col
suo sguardo accigliato sembra preoccupato, non disperato,
però. Se il carabiniere è la Legge, l’altro, Hess stesso,
non vuole che stare lì in pace, dopo essersi lasciato alle
spalle lo Stretto, la via che collega al Continente.
Cristina Martinelli
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