Un
critico d’Arte diceva che il diavolo è nel dettaglio. Vero o
no, le bandierine nel dipinto “L’Indovino” di Louis
Christian Hess è stato per me un dettaglio diabolico, tale
da costringermi, certo piacevolmente, a ricercare su questo
pittore, del quale lungo altri miei percorsi avevo
incontrato soltanto l’acquerello “Ragazza fra i papaveri”.
Le bandierine sono state l’elemento che mi ha colpita
subito, ancor prima del forte richiamo cromatico e
compositivo del quadro. Perché delle bandierine sulla
gabbietta della fortuna?; soprattutto, tranne quella
facilmente riconoscibile come italiana, che bandiere sono le
altre due? Da lì tutta una serie di domande a cascata, non
ultima quella riguardante un indovino che nella nostra
memoria coincide con una scena di vivace festa popolare,
legata alla ingenua speranza nella divinazione, mentre nel
dipinto di Hess, con la compostezza della posa delle figure
e il segno dei loro sguardi, trasmette una malinconica
rassegnazione, se non addirittura degli interrogativi
ricolmi di paura.
Alla mostra
CHRISTIAN HESS,
allestita presso il Museo Civico di Bolzano (26 novembre
2008 - 30 gennaio 2009), “L’Indovino” (Messina 1933) è stato
uno dei quadri più ammirati, e non soltanto da me, per
l’empatia con il sentimento profondamente umano di indagare
la vita attraverso il comportamento degli altri, anche di
quella piccola folla rappresentata, che accorre per qualcosa
che accade. Il dipinto, a partire dalle sue dimensioni (120
x 100 cm.), è una scena piena che costringe ad “affacciarsi
a guardare”, come nella realtà ci si affaccerebbe al balcone
per vedere la gente comprare i “Pianeti”, anche senza
credere alla Fortuna, perché già l’affollarsi senti che ti
interessa, perché è vita pulsante.
Forse, proprio grazie a questa sua forza intrinseca, fu
l’immagine usata per illustrare il cartoncino di invito
della Mostra Palermitana della “Riscoperta” di Christian
Hess del 1974, al trentennale della sua morte (Bolzano 1895-
Schwaz 1944). Scelta anche in seguito come l’emblema per
tutte le tappe della Mostra itinerante in varie città
italiane, in Austria e Germania, si disse per un evidente
rimando a
tematiche e figure siciliane, e questa lettura è perdurata a
lungo.
Nel Catalogo 1974 Marcello Venturoli scriveva:
“Nel discorso più legato all’Italia e al suo folklore, sono
pezzi tipici di Hess in primis, “l’Indovino”, motivo assai
accarezzato e riproposto dall’artista in numerosi disegni di
insieme e di particolari. In questo quadro fondamentale si
assiste a una specie di inventario dei motivi siciliani, che
però si armonizzano in una scena-composizione; e non
perdendo per questo la loro vitalità quasi simbolica, nulla
concedono ad una descrizione di comodo: il primo piano del
carretto–siciliano con i suoi colori arancio, bleu e rosso,
il cesto delle melanzane bianche, sormontato dalla testa del
pescatore con la corta pipa di gesso, inclita e cose, su cui
svetta (come svetta il Nettuno sulle matrone di fontana nel
porto di Messina) il personaggio della fantasia popolare, il
portatore di illusorio futuro, con la coppola contadina, la
tromba e la gabbietta, su cui prillano le bandierine, non
esclusa quella italiana, non a caso, e per pura coincidenza
formale, già repubblicana. E quale attonita curiosità, quale
rispetto della gente per quel messaggero della fortuna”
Di più, nel corso degli studi preparatori del progetto della
“Riscoperta” si sottolinearono alcune specifiche somiglianze
tra la pittura di Hess e quella di Renato Guttuso, fino a
considerare il pittore tedesco il progenitore di un
Espressionismo siciliano. Proprio in questa ottica Leonardo
Sciascia nella prefazione al Catalogo del 1974 scriveva di
lui:
“Non è poi senza significato il fatto che l’artista
proveniente dal centro Europa, maturato in più complesse
esperienze, si trovasse a vedere e a dipingere con leggero
scarto di anni, le stesse cose che il giovane Renato Guttuso
vedrà e dipingerà in quel suo felice periodo che prende nome
da Scilla. Non allo stesso modo, ma le stesse cose”.
Allora Domenico Maria Ardizzone cercò inutilmente di
coinvolgere Guttuso, il quale si limitò a rispondere che non
conosceva Hess, che sapeva soltanto della sua presenza
all’Aspra e che forse lo aveva anche visto dipingere.
Tuttavia, il binomio Hess - Guttuso ebbe degli sviluppi,
tanto da proporre l’accostamento di opere dei due artisti,
trovandovi “evidenti consonanze”, perlomeno tematiche. Così,
“L’Indovino” è stato affiancato alla “Vucciria”
di Guttuso, in quanto come questa sarebbe un condensato di
motivi siciliani.
* * * *
Nell’avviare la mia lettura de “L’Indovino” e muovendomi con
grande attenzione tra la Critica precedente, parto facendo
mia l’affermazione di Emilio Argiroffi:
“Non credo si possa accettare l’idea riduttiva, secondo la
quale, in qualche modo, la pittura di Hess racconterebbe
ancora una volta che la Sicilia è lì, con il suo sole, i
suoi fichidindia, il mare, il candore abbagliante e
incorrotto della sua sensualità panica, la molteplicità
ardente e geografica dei suoi desideri pagani. [….] Il
problema è qui di ravvisare negli elementi descrittivi
isolani il materiale plastico esistente, con le sue
mitologie antiche e incancellabili, e però di assumerlo come
alfabeto descrittivo e variamente componibile, per la sola
ispezione che si può tentare in direzione di un autore tanto
allusivo”.
Ecco, io ritengo che proprio “L’Indovino” è ad un tempo
chiave di lettura e sintesi felice di un capitolo a sé nella
produzione artistica di Hess, anche rispetto a tutto ciò che
complessivamente è scaturito dal suo contatto con la
Sicilia. Hess non si è appagato di una pura osservazione dei
paesaggi mediterranei, della vita quotidiana di quel mondo
circostante, non è stata soltanto una delle varie
sperimentazioni, magari a conti fatti, considerato che lo ha
portato ad acquisire un differente uso del colore e della
luce, la più importante nel suo processo di maturazione
artistica. Questo potrebbe anche apparire perfettamente
definito, relativamente al primo soggiorno, quando,
tuttavia, ai suoi amici artisti in Germania aveva scritto
“Questo dovrebbe essere il paradiso”,
con un condizionale che deve far riflettere e, in effetti, i
lavori di questo periodo, come anche di quelli successivi,
sempre brevi e di vacanza presso la sorella Emma, sono
proprio lo sguardo del viaggiatore-artista che vuole
cogliere lì il reale, l’espressività della gente siciliana,
il mezzo per far diventare più esplicita la sua inclinazione
per i valori coloristici.
Casa con fichidindia
(Messina 1927)
|
Ragazza e bambino su
un asino (Messina 1928) |
Arcobaleno (Messina 1930)
|
Paesaggio in Sicilia
(Messina 1928/30) |
Case in riva allo
Stretto (Messina 1931) |
Natura morta con fiori, frutta
e fiasco di vino (Sicilia 1929) |
Pescatore con giubba
rossa (Sicilia 1929) |
Nelle varie permanenze estive fino al 1930 la Sicilia fu
certamente la sua principale fonte d’ispirazione, la
terrazza alla Palmara fu davvero per Hess il punto di
osservazione privilegiato, il laboratorio da dove osservare
la luce, tanto che, quando la sorella gli comunicò il suo
trasferimento in un’altra zona di Messina, le rispose: “Poiché
tu forse cambi casa, è un grande peccato, cioè per me perché
io amo tanto la terrazza e la bella visuale sul mare e non
meno che ad essa sono legati molti bei ricordi di ore
trascorse là. Io ti auguro veramente una villa, cioè un vero
W.C. con un vero sciacquone ed un bagno. Per me è come se
perdessi la mia patria se tu traslochi dalla Palmara. Sono
stato là 5 volte e l’ambiente gioca un ruolo considerevole
nel mio sviluppo artistico”.
Non è stata questa l’unica perdita, ben altri traumi,
troppe costrizioni per lui perché non pesassero sul suo
lavoro dei tre anni di rifugio siciliano (1933-‘35), a cui
appartiene “L’Indovino”. Quella stagione, senza essere
slegata da tutta l’opera di Hess, è attraversata da una
maggiore irrequietezza, una sorta di ricerca di
corrispondenza tra il mondo oggettivo e l’espressione del
proprio “io”, l’emotività data da una tragica condizione
personale, all’interno di un quadro politico fortemente
connotato, determinante nel destino di tanti e
specificatamente dello stesso Hess. Nell’isolamento
insulare, a cominciare dalla lingua, per non dire della
perdita della rete di contatti che nel cuore dell’Europa gli
erano stati possibili, Hess dipinge moltissimo, e questo è
conseguenza non soltanto della ritrovata libertà di
espressione, ma della necessità di riempire un vuoto, di un
affanno per individuare nell’umanità dell’isola una verità
essenziale ed eterna ed interpretarla simbolicamente col suo
sguardo non di semplice spettatore, ma di artista. Questo
gli consente una velata denuncia di ciò che l’ideologia
stava preparando, i cui effetti egli aveva già conosciuto.
Nel 1929 Hess aveva aderito all'Unione di artisti monacensi
“Juryfreie” (Fuori giuria) che si prefiggeva di dare agli
artisti la possibilità di libere ricerche e sperimentazioni.
Per Hess fu un periodo intenso di lavoro ed esposizioni a
Monaco, Danzica, Kessel, Berlino, ma la “spietata guerra
di pulizia contro gli ultimi elementi di degenerazione della
cultura tedesca” non tardò a produrre i suoi effetti
deleteri anche su questa associazione e nel marzo del 1931
le SA, durante una conferenza sull'arte moderna della
“Kampfbundes für deutsche Kultur” (Lega della lotta per la
cultura tedesca) irrompono nei locali della Juryfreie,
vicenda che Hess così descrive in una lettera alla sorella:
“Pochi giorni fa, durante una conferenza sull'arte
moderna, abbiamo presentato una protesta. Hartmann ed io
siamo stati buttati fuori dalla sala per primi, altri due
colleghi sono stati picchiati”. In un’altra lettera ad
Emma lamenta: “Tutta la situazione politica è turbolenta
e non si può più dire una parola ragionevole che subito si
pensa che si voglia o no entrare in politica. Come sarei
contento di trovarmi in Sicilia e non sentire nulla di tutto
ciò”.
Nel crescendo di brutalità, il 6 giugno del 1931 brucia per
un incendio doloso il Glaspalast con circa tremila opere,
fra cui molti dipinti dei partecipanti della “Juryfreie”.
Hess, che nel rogo perde molti dei suoi lavori, scrive: “Ho
visto l'incendio, è stato terribile doverlo osservare
completamente inerme” e ancora in una lettera del '32: “Le
previsioni per il futuro non sono più rosee, né
politicamente, né economicamente (...) dove si va e con
chiunque si parli, tutti si lamentano per la mancanza di
denaro e la politica è il grande tema”.
Infine, nel 1933 arrivano le misure legali conosciute
come Gleichschaltung che hanno come obiettivo vero quello di
orientare il pensiero di ogni cittadino tedesco nella
direzione dell'ideologia ufficiale del Partito, eliminando
ogni forma di individualismo. Dopo l'aperta presa di
posizione degli Juryfreien contro la politica culturale
nazista, in quello stesso anno l'associazione è
definitivamente sciolta dal regime perché considerata
“bolscevica”.
E’ in seguito a questi avvenimenti che Hess si trasferì a
Messina per restarvi dal 1933 al ’38, in una situazione
economica e psicologica di gravissima crisi che per due
volte lo condusse persino sull’orlo del suicidio. Non più
per rivedere la sorella o turista, seguendo la moda che fin
dai primi anni del XIX secolo aveva portato in Sicilia una
lunga schiera di pittori tedeschi. Esilio volontario, ma pur
sempre un esilio, che lo costringeva a rinchiudere in una
dimensione isolana l’internazionalismo culturale della
midleuropa che gli apparteneva ormai e col quale era entrato
in contatto diretto oppure nella stessa Monaco. La città,
infatti, intorno al 1920 era attraversata dalle più svariate
correnti culturali che Hess andava largamente sperimentando.
Ora nel suo destino improvvisamente un’isola che è per
definizione un posto staccato e remoto, una prigione a cielo
aperto, come lo furono altre isole italiane per gli
oppositori del Fascismo. Nonostante il vantaggio per lui di
aver già soggiornato in Sicilia con altro spirito e
motivazione, il doverci stare e basta, senza una prospettiva
per il futuro, psicologicamente non poteva che avere un peso
negativo.
Non è logico pensarlo, dunque, sereno e rassegnato in questo
lungo soggiorno siciliano, resosi necessario per la
sicurezza personale, certamente per la salvaguardia di una
accettabile libertà d’espressione artistica. In questa fase
della sua vita non è escluso che avesse accumulato
indignazione, paura, forse rancore per quei suoi quadri dati
alle fiamme e rimpianto per gli ormai irripetibili successi
espositivi.
Hess non è interessato alla politica militante, vorrebbe
soltanto non sentire la volgarità che attraversa il suo
Paese e, d’altronde, il suo senso morale gli impedisce di
accettare passivamente, di non salvaguardare la dignità come
uomo e come artista. Egli è un pacifico cittadino, ma
consapevole, non vive voltato indietro, ma proiettato in
avanti; basti osservare come, pur avendo certamente
riportato immagini e sentimenti forti dalla sua
partecipazione alla Grande Guerra sul Fronte a Verdun,
tranne che per “Il Milite” (Messina 1938), non è mai andato
a ripescare in quel serbatoio di esperienze per esprimere la
sua etica della vita. Di temi legati alla guerra non vi è
traccia nella sua opera, ma più tardi scrive “Mai
più prenderò un fucile se non contro Hitler”
(lettera alla sorella 1934/35) e nel ’42, soltanto in
situazioni di scarsa lucidità gli sfuggono dai tavoli delle
osterie tirolesi frasi di dissenso contro il regime. Questa
coscienza, insomma, evolve nella sua opera come evolve il
condizionamento politico della sua esistenza, ma rimane
nella sfera del tormento intimo, che per un artista non può
che coincidere con l’opera, da dove ci rende testimonianza.
Negli anni tra il 1922 e ’29, infatti, Hess aveva dipinto
interni, nature morte, nudi, personaggi, molte donne, nei
quali è evidente una aspirazione alla bellezza classica,
negli anni ‘30/31, quando il nazismo si impone, diventando
un pericolo per il libero pensiero, egli trova riparo
nell’astrazione, infine in Sicilia cerca all’esterno una
modalità altra di espressione del suo disadattamento.
Allora, prevalgono inizialmente i paesaggi con un colorismo
crescente, ricco di sfumature, la forza dovuta alla luce
mediterranea (basti confrontare i bagnanti del Baltico con
lo stesso tema colto in Sicilia) e infine scopre la forza
vitale intrinseca nelle cose, nella natura, nella gente
siciliana.
Giova a questo punto seguire una minima cronologia di opere
per rendersi conto di come, oscillando tra espressionismo,
astrattismo e anche quello che sembrerebbe realismo, cioè le
scene di genere, Hess racconta il suo travaglio interiore.
Gli episodi di vita quotidiana a Messina non sono altro che
composizioni allegoriche, nelle quali far coincidere
l’esperienza visiva con la sua anima di tedesco, un tedesco
emarginato nel momento del massimo orgoglio nazionale, un
artista umiliato e ingabbiato in quell’isola, dove
accortamente portare avanti la sua personale battaglia di
libertà. Opera sommersa, nascosta dietro segni, a volte
senza la sua firma. Hess cerca nella teatralità siciliana la
rappresentazione del dramma personale ed epocale e lo fa con
compostezza aristocratica, riflesso anche della classicità a
cui aspira. Ne risulta un lirismo nuovo che, però, non
riesce a nascondere la sofferenza di fondo.
“Nettuno”
(Messina 1927): nel dipingere il Nettuno della fontana di
Messina, Hess sembra approfittare della figura possente del
dio del mare che, diversamente che in altri monumenti
(sicuramente deve aver visto quelli di Firenze e di Bologna
e probabilmente conosceva anche quello di Trento), qui ha il
braccio destro alzato per comandare a Scilla e Cariddi di
calmarsi e placare la furia delle acque. Però, a ben
guardare, mentre dal Nettuno messinese, tranne lo spavento
dei due simboli mitologici delle forze avverse, arriva a noi
un rassicurante messaggio di giustizia, dato innanzitutto
dalla gamba sinistra del dio portata in avanti in
atteggiamento di riposo, questo di Hess è piuttosto un
dittatore rozzo, vuoi per come occupa lo spazio, che per
l’espressione torva che finisce per rappresentare la forma
del potere tout court.
Alle sue spalle lo Stretto di Messina con due piroscafi
ingombranti a lui simmetrici, la ciminiera dell’uno listata
di rosso, per l’altro di nero, come ad adombrare in quel
cromatismo le due ideologie in campo. Ad
avvalorare questa lettura, i tanti disegni, bozzetti e
schizzi, nei quali l’artista cerca di adattare un Nettuno
che occupa meno spazio, perché a mezzo busto, ma ancor più
dissacrato e dissacratore nel gioco di sbucare a braccia
incrociate da dietro le case per beffarsi del popolo che ai
suoi piedi conduce con fatica la propria vita. Non manca,
neanche in questi lavori, il mare alle spalle, un bastimento
o un veliero senza vele, e la colomba, magari in picchiata.
“Matrosen”
(Messina 1930): In Primo piano due marinai: uno regge un
pappagallo, la cui simbologia, oltre a quella mariana
dell’elezione e della verginità e quella legata alla sua
facoltà di animale parlante, che ripete, cioè dell’essere
sospinti a idee altrui, essere ammaestrati, in relazione a
questo contesto, direi che alluda piuttosto alla saggezza,
alla ragione, ai progetti affascinanti e alla mobilità. Il
marinaio, nella posa di profilo per guardare l’animale
esotico, è come se si orientasse per un viaggio, una
migrazione. L’altro guarda all’entroterra, ma i due marinai,
essi stessi incarnazione del viaggio, sembrano uno solo ed
il suo doppio. Sullo sfondo piroscafi (uno è il Principessa
Giovanna?) e dal porto di Messina si era partiti in tanti
per le Americhe proprio su questo tipo di imbarcazioni. Hess
vuole, dunque, rappresentare la difficoltà di scegliere tra
l’andare e il restare. E’ la stessa condizione esistenziale,
descritta in “Testa e Mano”.
“Testa
e mano”
(Monaco di Baviera 1932): centrale in ogni senso è un
braccio sollevato, rappresentazione iconica dell’espressione
di sgomento “mettersi le mani nei capelli”, ma qui su di una
testa senza volto, cioè il vuoto angoscioso dell’anima che
prepara alla testa scura, la quale, comunque, guarda nella
direzione opposta. Michele Steinfl in quel ”anti-volto”
vede simbolicamente ritratto “una frequente condizione
umana […] nel momento […] della notte dell’anima e della
grande contraddizione”.
Ma, se Steinfl vede sorgere attraverso i simboli dell’arte
di Hess un uomo nuovo, resta pur sempre la necessità
presente di guardare dall’altra parte.
“Colombe
sulla terrazza”
(Messina 1933): tre colombe rinchiuse in uno spazio molto
delimitato sullo sfondo di un grande cielo nero e irreale.
Un po’ di chiarore soltanto nei tre squarci di differente
estensione, delineati senza troppa convinzione, così che
tutto l’insieme risulta livido e triste. Come per i soggetti
umani in altre composizioni simboliche, anche queste tre
bestiole sono vicinissime, eppure non comunicano tra loro,
sembrano anzi indifferenti a tutto ciò che è intorno. La
cupola del Cristo Re e lo Stretto sempre davanti allo
sguardo dell’artista, quasi un limite geografico
invalicabile. Nel disegno preparatorio di questo dipinto ad
olio, un lapis sul verso di un volantino tedesco che in
trasparenza lascia intravvedere delle svastiche e la
scritta “Actungh”, si indovina lo studio su geometrie nella
pavimentazione della terrazza, nelle scale in primo piano e,
forse anche nella balaustra, alla ricerca di segni che
potessero rimandare ai simboli nazisti.
Già
Domenico Maria Ardizzone aveva notato come Hess avesse
voluto contrapporre “le sue colombe della pace agli
emblemi dell’odio”. Ma a questa simbologia diretta, a me
sembra potersi aggiungere che le colombe sono lo stesso Hess
con la sua indole pacifica, rinchiuso sulla terrazza della
casa di Messina, apparentemente libero, sostanzialmente
impossibilitato nel movimento da un cielo così scuro e
minaccioso.
“Ladro
e carabiniere”
(Messina 1934): ancora due colombe bianche in primo piano,
portate da un giovane, quasi fosse il suo biglietto da
visita, al carabiniere italiano che lo affianca. I due
personaggi non comunicano tra loro, guardano qualcos’altro
davanti e, mentre il carabiniere, a labbra dischiuse, ha
un’espressione di comprensione, il giovane col suo sguardo
accigliato sembra preoccupato, non disperato, però. Se il
carabiniere è la Legge, l’altro, Hess stesso, non vuole che
stare lì in pace, dopo essersi lasciato alle spalle lo
Stretto, la via che collega al Continente.
La disamina delle rappresentazioni simboliche ha volutamente
trascurato quelle esplicite già nel titolo delle creazioni,
come i “Colombi” con tutte le sue variazioni, “Giobbe”, le
“Brocche rotte”, per concentrarsi sugli esempi nei quali
Hess sembra ricorrere ad un simbolismo più ricercato e
sotteso che gli consenta di denunciare senza troppi rischi
la sua situazione e, per conseguenza, il nazismo. Il mio
discorso su Hess, infatti, più che cercare una possibile
altra analisi tecnica ed estetica, vuole inserirsi nel
processo di Memoria della Storia del Novecento, che renda
giustizia anche a quei pochi Tedeschi che come Hess, pur non
essendo stati né allineati, né oppositori attivi, avendo
saputo mantenere anche un piccolo spazio di libertà
d’espressione, hanno conservato una dignità al popolo
tedesco in quella sua brutta stagione.
Lettura de “L’Indovino”
Ripartendo dalle bandiere,
dopo l’italiana, ha maggiore attrattiva quella bianca e
rossa. La bandiera del Principato di Monaco
è così composta, ma il Principato non evoca nulla nella
biografia del nostro artista per ritenere che fosse stata
inserita volutamente. A colori invertiti tale è anche la
bandiera della
Polonia e questa nazione nel 1933 era già oggetto di sguardi
rapaci, di cui oggi tutti sappiamo la portata virulenta
delle conseguenze. Scientemente Hess potrebbe aver voluto
disseminare un errore che servisse da camuffamento al suo
messaggio? Così ragionando, allora,
perché non ipotizzare trattarsi della bandiera del Tirolo e
della sua Bolzano che hanno gli stessi colori, ma con il
rosso sotto al bianco? Potremmo, poi, ritenere la terza
bandiera quella della Baviera e della città di Monaco che
era diventata così
centrale nella vita
artistica di Hess. Lo Stato Libero di Baviera possiede,
infatti, due bandiere con la stessa validità, una a losanghe
e una a strisce. La bandiera a strisce presenta due bande
orizzontali di uguale larghezza nei colori nazionali bianco
sopra e azzurro sotto. Stabilita ufficialmente per decreto
del re Luigi II l'11 settembre 1878, fu ammainata allo
scoppio della rivoluzione del 19 novembre 1918. Di nuovo
adottata per il Land Libero con la costituzione del 14
agosto 1919, fu abolita proprio dal 1933, durante il Terzo
Reich ed, infine, riconfermata dalla nuova costituzione del
2 dicembre 1946.
Se non vogliamo, dunque, accettare l’ipotesi che Hess, il
quale indubbiamente fa una pittura colta, abbia messo tre
bandiere con colori a caso, potremmo spiegarci anche il
particolare dello stemma sabaudo mancante in quella
italiana, così com’era all’epoca, concludendo che si può
pensare che in tutte e tre egli abbia cercato una variante
che ne impedisse subito e inequivocabilmente la
riconoscibilità o almeno fornisse elementi di dubbio e
nascondimento; non dimentichiamo che anche l’Italia era in
un regime vicino a quello tedesco.
Così, si apre facile
la via ad una interpretazione de “L’Indovino” come di una
composizione, dove ogni elemento abbia un suo significato,
una quinta teatrale, insomma, con i personaggi che recitano
una parte. Soprattutto se confrontiamo il dipinto ad olio
con altri tre studi sullo stesso tema ispiratore, tra cui un
acquerello (Messina 1933), e un lapis su carta (Messina
1933), possiamo rafforzarci nell’idea di una ricerca
compositiva intorno al soggetto dell’indovino che, infatti,
resta uguale in tutti e tre i casi, sempre le stesse
bandiere ed il mare alle spalle; soltanto più ampio il mare
con un veliero a vele ammainate in lontananza ed una sola
figura femminile. In quello del ’34, inoltre, la “gabbietta”
perde i cassettini per i foglietti della fortuna, mentre si
arricchisce di fiocchi da tappezzeria da proscenio, sul
quale la collocazione e il messaggio del merlo è più
evidente che negli altri casi.
In
queste varianti, come nel dipinto ad olio e come in tutta
l’opera di Hess, la solidità fisica dei personaggi, i volti
immobili, distaccati, apparentemente introversi e muti,
trasmettono una grande malinconia. E’ una realtà interiore
evocata più che descritta e che, nonostante tutto, tende
verso una positività che crede ancora possibile.
Se l’opera di un vero artista non è mai separata dalla vita,
quella di Christian Hess, esule a Messina, è l’espressione
di un moto interiore ben preciso: i vari soggetti, animati o
inanimati, compreso l’indovino, sono Hess nella lotta con se
stesso. Nessuna missione sociale e politica, soltanto un
bisogno catartico personale e, tuttavia, non meno
significativo di un’etica pubblica, perché l’Arte non è
questione del singolo individuo, ma attenendo al sacro,
appartiene all’Umanità.
Nel dettaglio
Sfondo:
Simbolico dell’esilio lo Stretto alle spalle, col mare mosso
e il cielo che si annuvola. Le costruzioni chiuse o delle
quali è visibile solo il tetto, sono l’appoggio per due
colombe che guardano l’orizzonte.
Lato destro:
I personaggi su questa parte
del dipinto raccontano il disagio, un’umanità sofferente.
L’uno con la calvizie, che nella tradizione esegetica
rappresenta una sorta di marchio per rendere visibile la
colpa, oppure la stoltezza, giacché nel Medioevo si riteneva
necessario rasare il capo agli stolti e ai folli in maniera
da favorire, attraverso l’eliminazione del pelo, anche
l’eliminazione dell’umore melanconico; con riferimento ad
un’epoca più vicina a noi, il capo rasato rimanda ad una igiene da prigione.
Questi è l’unico che guarda ed indica con la mano sollevata
il merlo. Un altro personaggio ha le
mani giunte che ne rendono la figura chiusa; egli ha,
inoltre, lo sguardo spalancato e perso. Dietro questi due
una donna dal volto scuro e austero con sul braccio sinistro
un bambino. Il capo della donna è coperto in un modo che
richiama la veste a sbalzo per le icone bizantine, una Maria
Odigitria che indica e guida lungo la strada, che istruisce
e mostra la direzione. Il suo sguardo ieratico è il solo che
sembra fissare chi guarda il dipinto e che
contemporaneamente ne è catturato. Viene da pensare alla
grande tradizione europea della Madonna nera di Jasna Gora
che i Polacchi, soprattutto, sono abituati a legare a tutte
le più diverse vicende della loro vita, ai momenti lieti
come quelli tristi, alle decisioni solenni.
Centro:
Ampiamente occupato dal
personaggio dell’indovino con la sua gabbietta e la tromba.
Solitamente questo personaggio portava un abito nero
piuttosto allampanato, un cilindro pure nero, una camicia
bianca ed una cravatta rossa. Su una spalla aveva un
pappagallino che, in cambio di poche lire, estraeva i
foglietti della fortuna da una cassetta di legno portata a
tracolla. Per chiamare a raccolta la folla l’indovino
suonava una fisarmonica o un organetto.
Qui abbiamo, dunque, alcune varianti nell’abbigliamento
dell’indovino, nel tipo di gabbietta, nell’uso di un merlo
al posto del pappagallo e, soprattutto, particolare è quella
tromba, posizionata come se dovesse usarla il merlo. Il
venditore della fortuna di Hess non ha quasi nulla
dell’omino girovago ed illusionista, anzi una certa
insistenza sul disegno della sua piramide nasale costringe a
ricordare quella degli autoritratti dell’artista. La fissità
del personaggio, malgrado la torsione della testa verso la
parte sinistra, e lo sguardo segnato da amara disillusione,
sembra dire a tutti gli astanti che si dissocia
dall’annuncio, che il peggio deve ancora avvenire, mentre va
ad incrociare quello della figura in rosso giusto nel lato
sinistro del dipinto.
Lato sinistro:
Due figure femminili, una
dietro vestita di bianco, l’altra di rosso, il colore del
desiderio di cambiamento, ma anche il colore che indica il
presente. Spazialmente questa figura è vicina al primo piano
che ella sembra proprio indicare con l’indice.
Primo piano:
Un carretto siciliano appena richiamato dalla cromia dei
disegni di parte di una delle sponde. Il carretto siciliano
era un mezzo di lavoro, ma veniva dipinto, spesso con temi
sacri, per dare un tocco di colore alla fatica, per
esorcizzare ogni pericolo del male, infine per spostarsi
protetti. Sopra il carretto c’è una cesta di melanzane
bianche, che sono un potente simbolo portafortuna. Dietro al
carretto un marinaio con la barba incolta, la coppola e la
pipa, immagine di abbandono e di attesa paziente.
Così, da questa analisi risulterebbe che Hess ci ha
illustrato ciò che su un ipotetico foglietto acquistato
dall’indovino egli avrebbe letto:
“Bolzano, Monaco, Messina: in questo triangolo si gioca il
tuo destino. Oggi non devi guardare dalla parte dove c’è
solo rischio per te, dove ti procureresti angoscia e
sofferenza. Puoi inviare un augurio di pace a quelle terre
che hai dovuto lasciarti alle spalle e, come fa un marinaio,
saper attendere pazientemente che il tempo migliori.
Protetto dall’isolamento della Sicilia, qui è ora la tua
fortuna”.
Cristina Martinelli
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